Libri antichi
Inventario di 351 volumi (con numerosi frontespizi strappati via)
trovati in una vasca da bagno, insieme ad altra spazzatura limitrofa,
sulla strada fuori l’ex Convento di santa Caterina, in Ameria,
nell’anno 1974, trasportati con l'aiuto dell'amico Ivano Ceccarelli,
ripuliti, catalogati e collocati nell’anno 1978, poi traslati.
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il Testo e il Gruppo Ricerca Fotografica - CH–Cumün da Val Müstair – Grischun",
*
Catalogo per Autore cortesemente redatto da Elisabetta Silvani
*
Appendice a cura di Franco Della Rosa
*
CATALOGO PER AUTORE
- A -
A.e C. LXVIII
Compendio di aritmetica
Torino, Tip. Roux Frassati, 1899
Ed. Grato Scioldo
p. 196 – cm. 18,5
----- H XXXIII
Affetti, e preghiere a San Giuseppe sposo castissimo di Maria sempre vergine
Ravenna, per l’Erede d’A. Landi
p. 108 – cm. 13,5
ALBERTINI, M. Francesco F XVI
Coroncina al Sangue Preziosissimo del nostro Signore Gesù Cristo
Roma, Tip. Lino Contedini, 1828
p. 24 – cm. 15
ALBERTINI, M. Francesco F XV
Coroncina al Sangue Preziosissimo del nostro Signore Gesù Cristo
Fabriano, Tip. Giovanni Crocetti, 1832
p. 46, 24 – cm. 15,5
ALBERTINI, Francesco I XXV
Introduzione alla vita umile
Roma, Tip. Lino Contedini, 1820
p. 276 – cm. 16
ANGELINI, Antonio M VI
Storia della vita del P. Carlo Odescalchi
Roma, Tip. Marini e Morini, 1850
p. 335 – cm. 25
ANGELI, Giuseppe G XXIX
La vita dolorosa della Madre di Dio nella vita penosa del suo SS.mo Figlio
Todi, da Raffaele Scalabrini, 1837
p. 166 – cm. 16,7
----- I XXI
L’anima diretta nella via dello Spirito
Assisi, Tip. Ottavio Sgariglia, 1824
p. 298 – cm. 15
----- D XXV
L’anima innamorata di Gesù Bambino (Tomo 2°)
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1837
p. 295 – cm. 16,5
----- D XXVI
L’anima innamorata di Gesù Bambino (Tomo 3°)
Assisi, Stamperia Sgariglia
p. 403 – cm. 16,8
----- D XXVII
L’anima innamorata di Gesù Bambino (Tomo 2°)
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1837
p. 295 – cm. 16,5
----- D XXVIII
L’anima innamorata di Gesù Bambino (Tomo 3°)
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1838
p. 346 – cm. 16,5
----- D XXIX
L’anima innamorata di Gesù Bambino (Tomo 4°)
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1838
p. 456 – cm. 16,5
----- D XXX
L’anima innamorata di Gesù Bambino (Tomo 3°)
Assisi, Stamperia Sgariglia, 1832
p. 403 – cm. 15,2
----- B XVI
L’anima religiosa innalzata alla perfezione
Roma, Tip. Del Collegio Urbano, 1838
p. 232 – cm. 20
----- G XI
Apparecchio i nove giorni per la solennità del Santissimo Corpo del Signore
Roma, Stamperia Vescovi, 1793
p. 139 – cm. 15
AULETE, Domenico E XXXVI
Avvertimenti ad una religiosa claustrale
Roma, per Michelangelo Barbiellini, 1768
p. 280 – cm. 15,5
AURIA, Antonio H XVI
Il ristoro dé moribondi
Venezia, per Pietro d’Orlandi, 1689
p. 227 – cm. 15
- B -
BALDI, Edgardo – CERCHIARI, Aldo M IV
Enciclopedia moderna italiana (Vol. 1°) A – L
Stab. Grafico Matarelli, 1935
Ed. Sonzogno
p. 2000 – cm. 31,5
BALDI, Edgardo – CERCHIARI, Aldo M V
Enciclopedia moderna italiana (Vol. 2°) M –Z
Stab. Grafico Matarelli, 1935
Ed. Sonzogno
p. 3712 – cm. 31,5
BARBUGLI, Demetrio D III
Lezioni spirituali ad uso delle monache
Bassano, Tip. Ed. Remondini, 1766
p. 379 – cm. 16,5
BARCO, Pietro L VI
Specchio religioso per monache
-----
p. 192 – cm. 22
BARTOLI, fr. Bonaventura (?) C IV
Horae diurnae
Roma, Tip. Hosp. Apost. S. Michele, 1802
p. 572, clxxxiii, 27 – cm. 15,5
BARTOLI, fr. Bonaventura (?) C V
Horae diurnae
Roma, Tip. Hosp. Apost. S. Michele, 1802
p. 572, clxxxiii, 27 – cm. 15,5
BASSANIN, Francesco A XXVIII
La religiosa in tre stati
Venezia, Stamperia di Battista Recurti, 1763
p. 216 – cm. 17
BASSANIN, Francesco A XXIX
La religiosa in tre stati
Bassano, Edizioni Remondini di Venezia, 1782
p. 444 – cm. 16,5
BASSANIN, Francesco A XXX
La religiosa in tre stati
Venezia, Stamperia di Battista Recurti, 1752
p. 446 – cm. 18,5
BAUDRAND, Bartolomeo F XXX
L’anima interiore o condotta spirituale nelle vie di Dio
Milano, Tip. Pirotta e C., 1846
p. 312, 18, 8 – cm. 15
BAZONI, D. Francesco E XXVIII
L’anno santificato in tutti i suoi giorni
Venezia, Tip. Giuseppe Corona, 1730
p. 381 – cm. 17,5
BAZZARINI, Antonio L XVII
Vocabolario usuale tascabile della lingua italiana
Napoli, Tip. Saverio Starita, 1843
p. 584 – cm. 19
BELLARMINO, Roberto G XXVIII
Dichiarazione più copiosa della dottrina cristiana
Roma, Tip. Pietro Aurelj, 1838
p. 237 – cm. 17
BELLECIO, p. Luigi B XV
Esercizi spirituali secondo il metodo di S. Ignazio di Lojola
Torino, Tip. Giacinto Marinetti, 1842
p. 293 – cm. 19,7
BERGAMO, F. Gaetano Maria, da …. F XIII
L’umiltà del cuore
Bassano, Stamperia Remondini, 1812
p. 248 – cm. 14,7
BLOSIO, Lodovico H XX
Consolazione dé pusillanimi
Venezia, Tip. Niccolò Pezzana, 1782
p. 275, 38, 76, 12, 16 – cm. 15,5
BOLDŬ, Girolamo G XIX
La monaca nel deserto con Cristo
Venezia, per Giambattista Novelli, 1758
p. 412 – cm. 15,5
BOLDŬ, Girolamo G XVI
La monaca nel deserto con Cristo
Venezia, Tip. Andrea Poletti, 1737
p. 544 – cm. 15,5
BONACCIA, Paolo F XXXIII
Il perfetto manuale di San Giuseppe
Modena, Tip. Ed. Pontificia ed Arcivescovile
p. 551, 47 – cm. 14,5
BONAVIA, P. Giambattista G V
Diario Quaresimale ad uso delle religiose
Venezia, Tip. Simone Occhi, 1762
p. 276 – cm. 18
BOVAVENTURA, F. M. di Palermo E XXX
Regola e sistema di vivere che tengono le monache dell’Ordine dell’osservanza di Santa Chiara
Foligno, Tip. Tomassini, 1829
p. 156 – cm. 17,5
BONAVENTURA, F. M. di Palermo D XXXIV
Regola e sistema di vivere che tengono le monache dell’Ordine dell’osservanza di Santa Chiara
Foligno, Tip. Tomassini, 1829
p. 156 – cm. 17,5
BONAVENTURA, F. M. di Palermo D XXXIII
Regola e sistema di vivere che tengono le monache dell’Ordine dell’osservanza di Santa Chiara
Foligno, Tip. Tomassini, 1829
p. 156 – cm. 17,5
BOSSUT, Carlo L XIV
Elementi d’algegra e geometria (Parte 1°)
Bologna, per i Fratelli Masi e C., 1808
p. 590 – cm. 21
BOURDALOUE, R. P. G I
Ritiramento spirituale ad uso delle comunità religiose
Venezia, Stamperia Remondini, 1753
p. 272 – cm. 17,5
----- G XXII
Breve racconto sulla mirabile apparizione dell’immagine di Maria Santissima del Buon Consiglio in Genezzano
Roma, nel Collegio Urbano, 1836
p. 24 – cm. 16
----- H XI
Breve ragguaglio della vita e santa morte di suor Maria Angelica degli Azzi
1745
p. 80 – cm. 15,5
----- I XXXI
Breviarium romanum
Roma, Tip. Della Santa Sede apostolica, 1905
p. 652, 439, 52* - cm. 12
BRUNO, Domenico I XX
Giornata solitaria
Napoli, per Felice Mosca, 1725
p. 319 – cm. 15
BUSEO, Giovanni D XXXV
Manuale di pie meditazioni (Parte 2°)
Venezia, Tip. Pietro Marcuzzi, 1763
p. 544 – cm. 16,5
- C -
CALINO, Cesare E XXI
Discorsi scritturali e morali (Parte 4°)
Venezia, Tip. Battista Recurti, 1724
p. 481 – cm. 15,8
CALZOLARI, B. L XXV
L’eremo di S. Maria delle Carceri
Assisi, Tip. L. Zubboli, 1918
p. 18 – cm. 17
CANALE, D. Bartolomeo C XIV
Diario spirituale, ovvero considerazioni per tutti i giorni dell’anno (Parte 2°)
Roma, Stamp. Zenobj, 1715
p. 316 – cm. 15,5
----- B XIII
Cenni storici della Madonna di S. Agostino
Roma, Tip. Della Pace di F. Cuggiani, 1886
p. 395 – cm. 18
CLEMENTINI, Curzio Girolamo F XXIII
Notizie della vita, morte, miracoli e traslazione del corpo di S. Liborio
Roma, Tip. S. Marco al Corso, 1702
Per Luca Antonio Chracas
p. 224 – cm. 14,5
----- B XX
Compendio delle vite dei cinque beati canonizzati dal sommo Pontefice Gregorio XVI
Roma, Tip. Angelo Ajani, 1839
p. 140 – cm. 19
----- F XXV
Compendio delle vite dé Santi e relative immagini
-----
p. 128 – cm. 14,5
COMBI, Maria Luisa F X
Esercizi di devozione da praticarsi in preparazione della festa di San Benedetto
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1817
p. 297 – cm. 15,7
----- I XIV
Considerazioni per la festa di S. Luigi
-----
p. 96 – cm. 14,5
CONSOCIAZIONE TURISTICA ITALIANA M I
Umbria
Milano, Tip. Bertieri, 1944
p. 238 – cm. 28
CROIS F XVII
Riflessioni spirituali (Tomo 2°)
-----
p. 304 – cm. 15,8
CROISET, Giovanni D XXXII
Esercizj di pietà (Tomo 5°)
Venezia, Stamperia Baglioni, 1737
p. 574 – cm. 16,5
CROISET, Giovanni D XXXI
Esercizj di pietà (Tomo 3°)
Venezia, Stamperia Baglioni, 1737
p. 430 – cm. 16,5
----- I XXVII
Culto perpetuo ai Santissimi cuori di Gesù e Maria
Matelica, Tip. Giovanni Pignotti, 1860
p. 347 – cm. 15
----- I XXVIII
Culto perpetuo ai Santissimi cuori di Gesù e Maria
Matelica, Tip. Giovanni Pignotti, 1860
p. 18, IV, 4 – cm. 13,3
CURIONI, Giovanni L XI
Corso di topografia
Torino, presso Augusto Federico Negro, Editore, 1867
XXXVI Tav. – cm. 24
- D -
DA CAPISTRANO, F. Giovanni G XX
Suggerimenti ascetici per indirizzo dell’anima alla perfezione
Roma, Tip. Lino Contendini, 1820
p. 271 – cm. 15,7
DA KEMPIS, Tommaso H I
Dell’imitazione di Cristo
Verona, Stamperia Giugliari, 1796
p. 597 – cm. 17
DA KEMPIS, Tommaso H II
Dell’imitazione di Cristo
Roma, per Niccolò e Marco Pagliarini, 1759
p. 480 – cm. 14,5
DA KEMPIS, Tommaso H III
Dell’imitazione di Cristo
Verona, Stamperia Pagliarini, 1795
p. 402 – cm. 13,7
DA KEMPIS, Tommaso H IV
Dell’imitazione di Cristo
Verona, Stamperia Pagliarini, 1795
p. 368 – cm. 13,7
DA KEMPIS, Tommaso H V
Dell’imitazione di Cristo
Milano, Tip. Giocondo Messaggi, 1858
p. 278 – cm. 14,5
DA KEMPIS, Tommaso H VI
De imitatione Cristi
Bassano, Tip. Remondini, 1760
p. 312 – cm. 12,5
DA KEMPIS, Tommaso H VII
-----
-----
p. 286 – cm. 14
…… (dal postulatore della causa) B XXX
Ristretto della vita e virtù della venerabile suor Chiara Isabella Fornari
Roma, Tip. Ferretti, 1838
p. 87 – cm. 19,8
da un canonico della Cattedrale di Veron E XXVI
Massime dottrinali fedelmente raccolte dalle opere di San Francesco di Sales
Bologna, per Longhi, 1726
p. 288 – cm. 14,5
…… (da una religiosa già defunta) B X
Trattato mistico delle virtù esteriori
Venezia, Tip. Simone Occhi, 1758
p. 386 – cm. 19
da un monaco Benedettino della Congregazione di S. Mauro E XXVII
Avvisi e riflessioni sopra le obbligazioni dello stato religioso (Tomo 2°)
Venezia, Tip. Maria Lazzaroni, 1740
p. 384 – cm. 16,5
da un Monaco Benedettino della Congregazione di S. Mauro C VIII
Avvisi e riflessioni sopra le obbligazioni dello stato religioso (Tomo 2°)
Venezia, Tip. Tommaso Bettinelli, 1748
p. 388 – cm. 18
da un prete dell’Oratorio di Perugia C VII
Manuale di devoti esercizi (Ed. 2°)
Assisi, Tip. Sgariglia, 1862
p. 1012 – cm. 17
da un prete dell’Oratorio di Perugia C VI
Manuale di devoti esercizi (Ed. 2°)
Assisi, Tip. Sgariglia, 1862
p. 1012 – cm. 17
da un sacerdote E XXV
Apparecchio alla morte
Foligno, Tip. Tommasini, 1824
p. 95 – cm. 15,3
da un sacerdote della congregazione della missione E I
Maria al cuor della giovane
Roma, Tip. Della Minerva, 1845
p. 136 – cm. 16
da un sacerdote della Congregazione della Missione I VI
Il divoto di Maria occupato nella meditazione delle sue grandezze
Torino, Tip. Speirani e Tortone, 1855
p. 575 – cm. 13
….. (da una religiosa già defunta) B XVII
Relazioni mistiche (Tomo 3°)
Venezia, Tip. Simone Occhi, 1761
p. 248 – cm. 20
da un sacerdote divoto di S. Filippo Neri I XIX
Studio dell’orazione mentale
Padova, Stamperia del Seminario, 1731
p. 553 – cm. 15
da un devoto F V
Relazione istorica dei prodigi più recenti accaduti per intercessione della gloriosa taumaturga V. e M. Santa Filomena (Tomo 3°)
Pesaro, Tip. Annesio Nobili, 1834
p. 324 – cm. 17
….. (dal postulatore della causa) B XXX
Ristretto della vita e virtù della venerabile suor Chiara Isabella Fornari
Roma, Tip. Ferretti, 1838
p. 87 – cm. 19,8
….. (dal postulatore della causa) B XXXI
Ristretto della vita e virtù della venerabile suor Chiara Isabella Fornari
Roma, Tip. Ferretti, 1838
p. 79 – cm. 18,8
DE LIGUORI, Alfonso A XXVII
Opere spirituali (Parte 1°)
Bassano, Tip. Remondini, 1818
p. 140 – cm. 16
DE LIGUORI, Alfonso A XXVI
Opere spirituali (Parte 1°)
Bassano, Tip. Remondini, 1818
p. 175 – cm. 16
DE LIGUORI, Alfonso A XXV
Opere spirituali (Parte 1°)
Roma, Tip. Vincenzo Poggioli, 1820
p. 192 – cm. 17,3
DE LIGUORI, Alfonso A XXIV
Opere spirituali (Parte 1°)
Roma, Tip. Vincenzo Poggioli, 1820
p. 192 – cm. 16
DE LIGUORI, Alfonso A XXIII
Opere spirituali (Parte 1°)
Torino, Tip. Giacinto Marietti, 1831
p. 408 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XXII
Opere spirituali (Parte 2°)
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1815
p. 293 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XXI
Opere spirituali (Parte 1°)
Roma, Tip. Vincenzo Poggioli, 1820
p. 192 – cm. 17,3
DE LIGUORI, Alfonso A XX
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 360 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XIX
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 360 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XVIII
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Napoli, Stamperia Giuseppe Di Domenico, 1768
p. 395 – cm. 17,5
DE LIGUORI, Alfonso A XVII
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Venezia, Stamperia Remondini, 1761
p. 328 – cm. 17,5
DE LIGUORI, Alfonso A XVI
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Remondini, 1819
p. 392 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso A XV
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 280 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XIX
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 360 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XIII
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 280 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A XII
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 360 – cm. 17,3
DE LIGUORI, Alfonso A XI
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 280 – cm. 17,3
DE LIGUORI, Alfonso A X
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 360 – cm. 17,2
DE LIGUORI, Alfonso A IX
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, Tip. Remondini, 1829
p. 280 – cm. 17,2
DE LIGUORI, Alfonso A VIII
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, Tip. Giuseppe Remondini e Figli, 1837
p. 360 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A VII
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, Tip. Giuseppe Remondini e Figli, 1837
p. 284 – cm. 17
DE LIGUORI, Alfonso A VI
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, 1797
p. 383 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso A V
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, 1797
p. 304 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso A IV
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Bassano, 1791
p. 381 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso A III
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Bassano, 1791
p. 304 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso A II
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 2°)
Napoli, Stamperia di Vincenzo Flauto, 1764
p. 509 – cm. 17,5
DE LIGUORI, Alfonso A I
La vera sposa di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Napoli, Stamperia di Giuseppe Di Domenico, 1760
p. 415 – cm. 17,5
DE LIGUORI, Alfonso C XX
Pratica di amar Gesù Cristo
Torino, Tip. Giacinto Marietti, 1832
p. 340 – cm. 14,5
DE LIGUORI, Alfonso C XIX
Pratica di amar Gesù Cristo
Torino, Stamperia Ved. Pomba e Figli, 1817
p. 527 – cm. 15
DE LIGUORI, Alfonso C XVIII
Pratica di amar Gesù Cristo
Bassano, Tip. Edit. Remondini, 1833
p. 304 – cm. 17,2
DE LIGUORI, Alfonso C XVII
Pratica di amar Gesù Cristo
Bassano, Tip. Edit. Remondini, 1820
p. 312 – cm. 16,7
DE LIGUORI, Alfonso C XVI
Pratica di amar Gesù Cristo
Bassano, Tip. Edit. Remondini, 1857
p. 304 – cm. 17,5
DE LIGUORI, Alfonso E XVIII
Apparecchio alla morte, ossia considerazioni sulle massime eterne
Napoli, Tip. Giuseppe Raimondi, 1760
p. 338 – cm. 15,3
DE LIGUORI, Alfonso E XVII
Apparecchio alla morte, ossia considerazioni sulle massime eterne
Bassano, Tip. Ed. Remondini, 1821
p. 444 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso E XVI
Via della salute, meditazioni e pratiche spirituali
Bassano, Tip. Remondini, 1805
p. 355 – cm. 16,5
DE LIGUORI, Alfonso E XV
Le glorie di Maria (Parte 1°)
Bassano, Tip. Ed. Giuseppe Remondini e Figli, 1823
p. 250 – cm. 16,3
----- L II
Delle vite de’ santi Padri
-----
p. 406 – cm. 22,5
DE MATTEI, P. Pasquale F VIII
Considerazioni e pratiche divote per celebrare con frutto le sei domeniche in onore di S. Luigi Gonzaga
Roma, Tip. Luigi Perego Salvioni, 1797
p. 124 – cm. 16
DE MATTEIS, P. Pasquale C XXII
Novena in apparecchio divoto alla festa di S. Ignazio di Lojola
Prato, Tip. Giacchetti, Figlio e C., 1886
p. 121 – cm. 16
----- E XXIV
Devoto esercizio per quaranta giorni in preparazione alla festa dell’Assunzione al cielo di Maria Vergine
Recanati, Tip. Badaloni, 1858
p. 96 – cm. 14,5
----- C III
Diario spirituale (Ed. 8°)
Venezia, Tip. Edit. Battista Bragolin, 1839
p. 413 – cm. 18
----- C XI
Diario spirituale (Tomo 1°)
Macerata, Tip. Luigi Chiappini e Antonio Cortesi, 1780
p. 325 – cm. 17
----- C XII
Diario spirituale
Venezia, Tip. Sebastiano Valle, 1808
p. 468 – cm. 16,3
----- C XIII
Diario spirituale
Venezia, Tip. Sebastiano Valle, 1808
p. 468 – cm. 16
----- F XXVI
Diario spirituale (Vol. 1°)
Torino, per Giacinto Marietti, 1832
p. 239, 118 – cm. 14,5
----- I XIII
Dichiarazione della dottrina christiana
-----
p. 274 – cm. 14
----- F XXXVI
Dio solo ovvero Sacra Lega
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1807
p. 228 – cm. 15
Luigi DI GRANATA H XXVI
Devotissime meditazioni per li giorni della settimana & per altro tempo
Venezia, Tip. Giorgio Bizzardo, 1610
p. 312 – cm. 13,5
DI LUCIA, don Francesco H XV
Relazione istorica della traslazione del sacro corpo di Santa Filomena
Firenze, Stamperia Magheri, 1835
p. 192 – cm. 15
DI OLIVARI, fr. Antonio C XV
Anno doloroso, ovvero meditazioni sopra la dolorosa vita della Santissima Vergine Maria (Tomo 1°)
Bassano, Tip. E Edit. Remondini, 1787
p. 288 – cm. 17
DI SALES, S. Francesco I XII
Trattenimenti spirituali
Roma, per Gregorio e Gio: Andreoli, 1666
Stamperia Fabio de Falco
p. 443 – cm. 14,5
DI SALES, S. Francesco E XIV
Trattato dell’amor di Dio (Tomo 3°)
Venezia, Tip. Bertani, 1667
p. 437 – cm. 16,5
DI SALES, S. Francesco H IX
Delle lettere spirituali
Roma, ad istanza di Gregorio e Giovanni Andreoli, 1666
p. 551 – cm. 15,3
DI SALES, S. Francesco H XXVII
Lettere spirituali (Parte 2°)
Venezia, a spese della Compagnia, 1760
p. 456 – cm. 14,3
DI SALES, S. Francesco H XXXIV
La filotea, ossia introduzione alla vita divota
Roma, Libreria Salesiana, 1921
p. 440 – cm. 14
----- E XX
Diverse suppliche o coroncine per ajuto de moribondi
Napoli, Stamperia Gennaro Giaccio, 1777
P. 16 – CM. 16
----- F XIV
Divoto stradamento
Roma, per il Baugni, 1719
p. 216 – cm. 14,5
----- H XXX
Il direttore delle religiose cavato dalle opere di S. Francesco di Sales
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1816
p. 214 – cm. 13
----- F IX
Divozione alle agonie del nostro Redentore Gesù Cristo
Perugia, Stamperia Carlo Baduel, 1797
p. 79 – cm. 15,8
----- F XXII
Divozione alle regole del nostro Signore Gesù Cristo
Perugia, Stamperia Carlo Baduel, 1797
p. 79 – cm. 15,5
DUQUESNE, abate E V
Le grandezze di Maria (Tomo 1°)
Venezia, Tip. Rosa, 1826
Ed. Foresti e Bettinelli
p. 262 – cm. 16,5
- E -
----- G II
Esercizio di brevi ed affettuose meditazioni sopra la Passione Santissima di Gesù Cristo
Roma, Stamperia Michelangelo Barbiellini, 1776
p. 120 – cm. 17
- F -
FERRETTI, U. L XXVII
La profilassi delle malattie infettive degli animali
Milano, Tip. Umberto Allegretti, 1906
Ed. Ulrico Hoepli
p. 582, 64 – cm. 15
FONTANA, Aldighierio H XXIX
La religiosa santamente occupata verso Dio, verso il prossimo, verso sé stessa (Parte 1°)
Venezia, Tip. Andrea Poletti, 1709
p. 124 – cm. 13,5
FONTANA, Aldighiero H XXVIII
La religiosa santamente occupata verso sé stessa (Parte 3°)
Venezia, Tip. Andrea Poletti, 1709
p. 238 – cm. 14,5
FONTANA, Aldighiero H XXIV
La religiosa santamente occupata verso Dio, verso il prossimo e verso sé stessa
Venezia, Tip. Andrea Poletti, 1741
p. 518 – cm. 15
----- B XXXIV
….. Fortunatus Maria Pinchetti …..
-----
p. 372 – cm. 17,5
Fr. Francesco di S. Michele F XXXIV
Novena o sian pii esercizi di Gesù Nazzareno
Roma, Stamperia Salvioni, 1775
p. 47 – cm. 14,7
FRANCIOTTI, P. Cesare G XIII
Aggiontioni alle pratiche sopra i Vangeli dell’anno (Parte 5°)
Venezia, Tip. Battista Combi, 1630
p. 422 – cm. 14,5
- G -
GARDINER L XIII
Tavole logaritmiche
Firenze, Stamperia Calasanziana, 1827
Ed. Giovanni Inghirami
p. LXXXVIII … - CM. 22
GAUME, monsignor H XIV
Lettere sulla prima comunione
Milano, Tip. Pirotta e C., 1857
p. 192 – cm. 15,5
GAUME, monsignor H XIII
Lettere sulla prima comunione
Milano, Tip. Pirotta e C., 1857
p. 192 – cm. 15
G.C.C. G XVII
La quaresima, istruzione e quotidiani esercizi di pietà per santificarla
Roma, Tip. Della S. C. De Propaganda Fide, 1868
p. 468 – cm. 15
GENTILUCCI, Mons. Emidi G XXXI
Compendio della vita del venerabile servo di Dio Gaspare del Bufalo
Roma, Tip. Fratelli Pallotta, 1852
p. 214 – cm. 17,3
----- H XXII
Il giovane Angelico S. Luigi Conzaga
Roma, Stamperia S. Michele a Ripa Grande
Per Ottavio Puccinelli
p. 72 – cm. 15
GRILINZONI, Raffaele I XXXIV
Affanni dell’anima timorata
Venezia, appresso Gio: Battista Brigna, 1663
p. 336 – cm. 10,5
GUIDETTI, Bartolomeo E XXII
Esercizj di divozione al SS. Cuore di Gesù e al purissimo Cuor di Maria
Livorno, da Giuseppe Zecchini e Compagni, 1818
p. 300 – cm. 14,8
GUIDI, Filippo L IX
Vita di suor Caterina de’ Ricci
Firenze, 1616
p. 149 – cm. 20
- H -
----- I XI
Horae Diurnae
Roma, Tip. Ven. Hospitii Apost., 1834
Apud Pietro Aurelj
p. 468, cclv – cm. 14
- J -
JACOBONI, Francesc’Angelo C I
Dichiarazione della Regola delle religiose del 3° ordine di S. Francesco, del Monastero di Santa Elisabetta di Ameria
Roma, per i Fratelli Puccinelli, 1780
p. 57 – cm. 15,5
JACOBONI, Francesc’Angelo C II
Dichiarazione della Regola delle religiose del 3° ordine di S. Francesco, del Monastero di Santa Elisabetta di Ameria
Terni, Tip. Possenti, 1843
p. 57 – cm. 21
- I -
P. Ignazio del costato di Gesù C XXX
La scuola di Gesù appassionato
Roma, Libreria Marini, 1855
p. 304 – cm. 17
P. Ignazio del costato di Gesù C XXXII
La scuola di Gesù appassionato
Roma, Libreria Marini, 1855
p. 304 – cm. 16,5
S. Ignazio G IV
Il cristiano occupato nel ritiro di dieci giorni per fare gli esercizi spirituali (Parte 2°)
Venezia, Stamperia Remondini, 1758
p. 238 – cm. 17,5
----- H VIII
Imitazione della SS. Vergine Maria Madre di Dio
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1814
p. 375 – cm. 14
----- F XXXII
Istruzione per degnamente acquistare il Giubileo
Roma, per Casaletti a S. Eustachio, 1775
p. 82, 84, 124 – cm. 15
----- L XXIV
Istruzioni sul servizio dei trasporti in campagna per i reggimenti di fanteria, bersaglieri e cavalleria
Roma, 1873
p. 138 – cm. 16
- L -
LAMBRUSCHINI, Giambattista B XXXV
Guida spirituale per uso della Diocesi di Orvieto
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1823
p. 358 – cm. 17
LAMBRUSCHINI, Giambattista B XXXVI
Guida spirituale per uso della Diocesi di Orvieto
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1823
p. 358 – cm. 16,5
LANFREDINI, Giacomo F VII
Lettera pastorale di Mons. F. Gaetano Incontri
Firenze, Tip. Arcivescovile, 1842
p. 120 – cm. 16
LANSPERGIO, Giovanni H X
Faretra del Divino amore
Venezia, 1578
p. 571 – cm. 15
P. LEONARDO da Porto Maurizio D XXI
Manuale sacro (Parte 1°)
Roma e Perugia, Stamperia di Antonio Costantini, 1735
p. 248 – cm. 16
P. LEONARDO da Porto Maurizio D XX
Manuale sacro (Parte 1°)
Roma e Jesi, per Giambattista de’ Giulj, 1735
p. 248 – cm. 15,8
LETRONNE L XIX
Corso elementare di geografia antica e moderna
Livorno, Fratelli Vignozzi Giovani, 1851
p. 267 – cm. 16,5
LO JACONO, Domenico Maria G XXIII
Esercizio divoto per tutto un mese in onore del Sacro Cuore di Gesù
Roma, Tip. Giunchi e Menicanti
p. 105 – cm. 16
LOISEAU, J. L XXII
La methode des jeux
Paris, le Editions J. Susse
p. 96 – cm. 17,5
LUOVET, abate F II
Il purgatorio secondo le rivelazioni dei Santi
Roma, Tip. Monaldi e c., 1884
p. 343 – cm. 18,3
LUIGI di Granada H XXVI
Devotissime meditazioni per li giorni della settimana & per altro tempo
Venezia, Tip. Giorgio Bizzardo, 1610
p. 312 – cm. 13,5
- M -
----- I III
Manuale pei divoti di San Giuseppe
Roma, Tip. Aurelj e C., 1859
p. 448, 29 – cm. 13
MARCONI, Giuseppe C XXI
Il mese di marzo consagrato al gloriosissimo patriarca San Giuseppe (Ed. 7°)
Roma, Stamperia Contendini, 1831
p. 101 – cm. 17
P. F. Marco da Lisbona L VII
Croniche degli ordini instituiti dal Padre S. Francesco
Brescia, Tip. Tommaso Bozzola, 1582
p. 296 – cm. 21
Fra Marco da Lisbona L III
Delle croniche de’ frati minori (Parte 2°)
Venezia, Tip. Gioliti, 1606
p. 628 – cm. 21
----- E XXIX
Maria Immacolata M. di Dio regina dei Santi
Roma, 1833
p. 154 – cm. 17,7
MARTIN, D. Claudio E IV
Pratica della regola di S. Benedetto
Venezia, Tip. Battista Recurti, 1744
p. 408 – cm. 16,5
MARTINI, Francesco E X
Li segreti della vita religiosa
Roma, Stamperia De’ Rossi, 1760
Ed. Francesco Martini
p. 93 – cm. 15,5
MASSOUILIÈ, P. Antonio G IX
Trattato dell’amor di Dio
Venezia, Tip. Battista Recurti, 1721
p. 504 – cm. 15,7
MAURIZI, suor Maria Luisa B XI
Morali e divote riflessioni
Roma, Tip. Della Pia Unione alle Terme, 1833
p. 64 – cm. 18,9
----- C IX
Meditazioni ed orazioni
Camerino, per Vincenzo Gori, 1814
p. 59 – cm. 16,7
MEMMI, Battista I XVII
Vita della ven. serva di Gesù Suor Cecilia Nobili
-----
p. 86 – cm. 14
----- E XXXIII
Il mese del SS. Cuor di Gesù o sia il mese di Luglio
Imola, per Ignazio Gsleati, 1840
p. 208 – cm. 17
----- E XXXIV
Il mese del SS. Cuor di Gesù o sia il mese di luglio
Imola, per Ignazio Galeati, 1840
p. 208 – cm. 15
----- D XVI
Il mese di Gesù Bambino ossia il mese di gennaio
Roma, Tip. M. L. Aureli e C., 1857
p. 60 – cm. 16,5
----- D XVII
Il mese di Gesù Bambino ossia il mese di gennaio
Foligno, per Giovanni Tomassini, 1822
p. 171 – cm. 16
----- D VIII
Il mese di novembre in suffragio delle anime sante del Purgatorio
Ancona, Tip. G. Aurelj e C., 1846
p. 193 – cm. 15,6
----- F III
Il mese di ottobre ovvero il mese santificato ad onore di S. Teresa di Gesù
Terni, Tip. Possenti, 1834
Ed. Carmo Scalzo
p. 268 – cm. 17,8
MESSIA, P. Alfonzo I XXVI
Divozione alle tre ore di agonia di Gesù Cristo nostro Redentore
Roma, Stamperia Baldassari, 1410
p. 48 – cm. 16
----- L XXIX
Miniera di secreti, specifici e ricette d’ogni genere
Trieste, Tip. Ed. Colombo Coen, 1863
p. 257 – cm. 15,7
Ministero Difesa Esercito L XXX
Elementi di primo soccorso
Roma, Tip. Marinelli, 1973
p. 32 – cm. 12,2
MIONI, Ugo L XXI
I prigionieri della Tripolitania
Alba, Scuola Tipografica Editrice
p. 297 – cm. 18,5
MISLEI, Geminiano F IV
Esposizione dei quattro Sacri Evangeli insieme confrontati
Roma, Tip. Forense, 1854
p. 421 – cm. 17
----- H XVII
Modo facile per imparare tutta la storia della sagra Bibbia
Bassano, Tip. Ed. Antonio Remondini
p. 157 – cm. 15
MORANDI, Felicita F I
Epistolario educativo
Milano, Tip. G. Battista ---messaggi, 1890
Ed. Paolo Carrara
p. 306 – cm. 18,3
----- I X
Motivi di amare Iddio
Roma, Tip. Marini e Morini, 1847
p. 435 – cm. 14
MUZZARELLI, Alfonzo E XXIII
Novena in apparecchio alla festa del SS. Cuore di Maria Vergine
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1807
p. 140 – cm. 15
- N -
NAVARRA, P. Giuseppe G VI
Meditazioni sulle ore dolorose di Maria Vergine
Ancona, Tip. Niccola Baluffi, 1807
p. 276 – cm. 17,7
NEPVEU, Francesco G XIV
Signor Gesù Cristo
Roma, Tip. Marini e C., 1840
p. 411 – cm. 14
----- G III
Nella maniera di ben cominicarsi
Venezia, Tip. Stefano Monti, 1735
p. 524 – cm. 18
----- F XXI
Novena che si premette nella terra di giove
Roma, per Antonio Fulgoni, 1796
p. 47, LXXI – cm. 15
----- H XII
Novena del SS. Natale di N. S. Gesù Cristo
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1815
p. 84 – cm. 16
----- B XIX
Novena in apparecchio alla festa della gloriosa vergine e martire S. Fermina
Todi, Stamperia Scalabrini, 1825
p. 27 – cm. 21
----- I I
Le notti di S. Maria Maddalena penitente
Roma, Stamperia, Domenico Ercole, 1829
p. 120 – cm. 14
----- I II
Le notti di S. Maria Maddalena penitente
Montefiascone, Tip. del Sem.
Presso Savini e Sartini
p. 168 – cm. 12,5
----- F XII
Nuova guida al culto della Madre di Dio
Roma, Tip. Aurelj e C., 1860
p. 574 – cm. 14
- O -
OLMI, Gaspero D VII
Le delizie della campagna
Servitù incontentabile
Modena, Tip. Pontificia ed Arcivescovile, 1888
p. 46 – cm. 15,8
OLMI, G. E XI
Manuale di pietà offerto ai devoti di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù
Modena, Tip. Pontificia ed Arcivescovile dell’Immacolata Concezione, Editrice
p. 192 – cm. 15
OLMI, Gaspero I IX
L’anima in solitudine col Cuor SS. di Gesù e la B. Margherita Alacoque
Modena, Tip. dell’Imm. Concezione, 1868
p. 192 – cm. 14
ORSINI, abate D II
La Vergine istoria della Madre di Dio e del suo culto
Foligno. Tip. Tomassini, 1842
p. 293 – cm.
- P -
PACINI, Renato L XX
Bartolomeo Pinelli e la Roma del tempo suo
Milano, Tip. Ed. Fratelli Treves, 1935
p. 197 – cm. 19,7
PAGANI, Gio. Battista F XXXI
L’anima divota della Santissima Eucarestia
Roma, Tip. Marini e C., 1839
p. 446 – cm. 15
PAOLI, Pietro L XII
Supplemento agli elementi di algebra
Pisa, Tip. della Soc. Letteraria, 1804
p. 286 – cm. 22
----- E III
Passione del nostro Signor Gesù Cristo
Roma, Tip. Francesco Bourliè, 1807
Ed. Cesare Petrosellini
p. 232 – cm. 17
PATRASSI, Vincenzo B XII
Via della perfezione
Roma, Tip. del Collegio Urbano, 1840
p. 316 – cm. 18
PERGMAJER, p. Giuseppe B VII
Considerazioni sulle verità eterne (3° ed.)
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1840
p. 214 – cm. 18,5
PERGMAJER, p. Giuseppe B VIII
Considerazioni sulle verità eterne (3° ed.)
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1842
p. 214 – cm. 19
PETROSO, Giovanni Maria G XXVII
Spiegazione sopra i titoli delle litanie della Madonna e della Salve regina
Roma, Stamperia Giovanni Zempel, 1792
p. 276 – cm. 17
PETROSO, sac. Vincenzo E IX
Sette visite pratiche da farsi ogni giorno al SS.mo Sagramento
Roma, Tip. Giacchino Puccinelli, 1788
p. 526 – cm. 14,5
PERTUSATI, Francesco (traduttore) F XXXV
Soliloqui divotissimi sui patimenti di N. S. Gesù Cristo
Milano, Tip. Pirotta e Maspero, 1809
p. 251 – cm. 14,5
----- G XII
Pietosi esercizi di devozione sui dolori della SS. Vergine Maria
Lucca, Tip. Benedini, 1840
p. 370 – cm. 15,3
----- H XXXI
Pietosi esercizj di devozione sui dolori della SS. Vergine Maria
Todi, Tip. Scalabrini, 1836
p. 301 – cm. 14,5
----- H XXXII
Pietosi esercizj di devozione sui dolori della SS. Vergine Maria
Todi, Tip. Scalabrini, 1836
p. 140 – cm. 12,3
----- H XXXIX
Pietosi esercizj di devozione sui dolori della SS. Vergine Maria
Todi, Tip. Scalabrini, 1836
p. 301 – cm. 13,5
PINAMONTI, Pietro D XI
La religiosa in solitudine
Venezia, per Giacomo Tommasini, 1721
p. 473 – cm. 15,8
PINAMONTI, Pietro D X
La religiosa in solitudine
Venezia, per Giacomo Tommasini, 1715
p. 473 – cm. 15,5
PINAMONTI, Pietro D IX
La religiosa in solitudine
Venezia, per Giacomo Tommasini, 1736
p. 473 – cm. 15,5
PINCHETTI, Fortunato Maria L X
Officia propria sanctorum
Roma, Tip. S. Michele a Ripa, 1815
p. 372 – cm. 19,5
PINDEMONTE (traduttore) I XXIX
Odissea di Omero
Venezia, Tip. Ed. Girolamo Tasso, 1837
p. 450 – cm. 13,5
S. PII V. PONTEFICIS MAXIMI B XIV
Officium Hebdomadae sanctae
Venezia, Tip. Nicolai Pezzana, 1777
p. 492 – cm. 18,5
----- H XXI
Pratica di devozione … sotto l’invocazione del S. Apostolo delle Indie S. Francesco Saverio
Roma, Stamperia Bartolomeo Lupardi, 1678
p. 84 – cm. 14,5
----- I XXXIII
Pratica divota per la novena della miracolosa Madre Serafica Santa Chiara
Ferrara, per Bernardino Pomatelli, Stampatore Vescovale, 1722
p. 63 – cm. 11
----- B XVIII
Primo giorno di ritiro occupato nel pensiero di nostra morte
Roma, Tip. Salviucci, 1844
p. 31 – cm. 19
----- D XIV
Il Purgatorio aperto alla pietà dei fedeli o sia il mese di novembre
Roma, Tip. Marini, 1842
p. 134 – cm. 15
----- D XV
Il Purgatorio aperto alla pietà dei fedeli o sia il mese di novembre
Roma, Tip. Fratelli Pallotta
p. 134 – cm. 15
----- H XXIII
Il Purgatorio aperto alla pietà dei fedeli o sia il mese di novembre
Roma, Tip. Marini e C., 1842
p. 134 – cm. 14,5
- R -
RABASSINI, Giovanni F XXIX
Esercizj spirituali
Foligno, Tip. Ed. Tomassini, 1809
p. 264 – cm. 15,3
----- I XXX
Raccolta delle più ricercate novene
Roma, Tip. Marini e Morini, 1848
p. 504 – cm. 11,5
----- E VIII
Raccolta di dodici sagre novene
Roma, presso Pietro Aurelj, 1831
p. 96 – cm. 15,7
----- E XII
Raccolta di orazioni e pie opere col’Indulgenze loro annesse
Roma
p. 440 – cm. 14,5
----- I XXIV
Raccolta di pratiche divote da esercitarsi nella settimana santa
Roma, Tip. Martini e C., 1843
p. 310, 72 – cm. 16
RAINALDI, Gioseppe I V
Cibo dell’anima, ovvero prattica dell’orazione mentale
Roma, per Generoso Salomone, 1746
A spese di Lorenzo Barbiellini
p. 407 – cm. 14
----- L VIII
Regola del Padre S. Benedetto
Roma, Tip. Salviucce, 1859
p. 254 – cm. 21
----- C XXV
Regolamento pratico di vita cristiana
Roma, Stamperia De Romanis, 1814
p. 275 – cm. 17,3
----- C XXVI
Regolamento pratico di vita cristiana
Roma, Tip. Lino Contedini, 1823
p. 250 – cm. 16,8
----- C XXVII
Regolamento pratico di vita cristiana
Roma, Tip. Lino Contedini, 1836
p. 288 – cm. 17,2
----- C XXVIII
Regolamento pratico di vita cristiana
Roma, Tip. Lino Contedini, 1829
p. 292 – cm. 17,5
----- C XXIX
Regolamento pratico di vita cristiana
Roma, Tip. Lino Contedini, 1836
p. 288 – cm. 17,5
RENZONI, Giuseppe Maria H XXXV
Il mese di novembre
Roma, Tip. Monaldi, 1869
p. 62 – cm. 13,7
RICCIOLO, Battista I XXXII
Prosodia bononiensis
Roma, ad istanza di Michele de Rubi, 1676
p. 422 – cm. 11,5
RIGHETTI, Giuseppe B XXXIII
Lezioni a filotea (Vol. 1°)
Roma, Tip. Contedini, 1842
p. 263 – cm. 18
RIGHETTI, Giuseppe B XXIX
Esercizj di preparazione alla morte
Roma, Tip. belle arti, 1833
p. 188 – cm. 16
RIGHETTI, Giuseppe B XXVIII
Esercizj di preparazione alla morte
Roma, Tip. belle arti, 1833
p. 188 – cm. 17
RIGHETTI, Giuseppe B XXVII
Esercizj di preparazione alla morte (2° ed.)
Roma, Tip. belle arti, 1835
p. 214 – cm. 18
RIGHETTI, Giuseppe B XXVI
Esercizj di preparazione alla morte (2° ed.)
Roma, Tip. belle arti, 1835
p. 214 – cm. 17,3
RIGHETTI, Giuseppe B XXV
Esercizj di preparazione alla morte (2° ed.)
Roma, Tip. belle arti, 1835
p. 214 – cm. 17,5
RIGHETTI, Giuseppe B XXIV
Esercizj di preparazione alla morte (2° ed.)
Roma, Tip. belle arti, 1835
p. 214 – cm. 17
RIGHETTI, Giuseppe B XXIII
Esercizj di preparazione alla morte (2° ed.)
Roma, Tip. belle arti, 1835
p. 214 – cm. 18
RIGHETTI, Giuseppe D XXIII
Il mese di Maria ossia il mese di Maggio
Roma, Stamperia Delle Belle Arti, 1832
p. 155 – cm. 16,5
RIGHETTI, Giuseppe D XXIV
Il mese di Maria ossia il mese di Maggio
Roma, 1805
p. 178 – cm. 15,5
RIGHETTI, Giuseppe F VI
Lezioni a Filotea (Vol. 1°)
Roma, Tip. Contedini, 1842
p. 263 – cm. 17,5
RINUCCINI, Battista I VII
Il cappuccino scozzese
Macerata, appresso gli Eredi Agostino Grifei, 1655
p. 227 – cm. 14
----- H XIX
Ritiro spirituale di un giorno al mese per la rinuovazione dei voti ad uso delle monache
Venezia, Tip. Simone Occhi, 1755
p. 207 – cm. 15,5
----- L IV
Rituale romanum
Venezia, apud Franciscum ex Nicolao Pezzana, … 71
p. 216 – cm. 22,5
D. ROBERTO G XVIII
L’amor di Maria ovvero motivi più efficaci all’amor di Maria Santissima
Novara, Tip. Enrico Crotti, 1840
p. 338 – cm. 15
RODRIGUEZ, Alfonso E XXXV
Esercizi di perfezione e di virtù cristiane
Venezia, Stamperia Baglioni, 1718
p. 792 – cm. 15
RODRIGUEZ, P. Alfonso G XXVI
Esercizi di perfezione e di virtù cristiane (P. 1°)
Roma, per Francesco Corbelletti, 1632
A spese di Hermanno Scheus
p. 645 – cm. 16
ROISSARDT abate G VII
La consolazione del cristiano o motivi di fiducia in Dio (Tomo 2°)
Assisi, Tip. Ottavio Sgariglia, 1825
p. 492 – cm. 16,7
ROLLIN, Carlo C X
Storia romana dalla fondazione di Roma sino alla battaglia d’Azio (Tomo VI)
Roma, Tip. Giunchi e Comp., 1831
p. 203 – cm. 17
ROSIGNOLI, Carlo Gregorio F XXVII
Meraviglie di Dio nell’anime del Purgatorio (Parte 1°)
Roma, Tip. Marini e C., 1841
p. 435 – cm. 13,5
----- F XXXVIII
Rubricae missalis
Roma, Tip. Rocchi Bernabò, 1723
p. 172 – cm. 14
RUSTIA, Giuseppe L XXVI
Manuale e ricettario di tinteggiatura, lucidatura e verniciatura del legno
Milano Stab. Grafico Matarelli, 1939
Ed. Sonzogno
p. 61 – cm. 16
- S -
SACERDOTI Secolari dell’Unione di S. Paolo E XIX
Gli ultimi dieci giorni di Carnevale
Roma, Stamperia Luigi Perego Salvioni, 1816
p. 47 – cm. 15,5
----- G X
Sacra e divota novena in onore dell’amabilissimo cuore di N. S. Gesù Cristo
Napoli, 1791
p. 201 – cm. 15,7
----- E VII
Sagra novena da premettersi il giorno della ricorrenza dell’incoronazione dell’immagine di Maria Santissima Assunta in cielo
Roma, Tip. Salomoni, 1795
p. 32 – cm. 15,5
----- I XXII
Sagre offerte alla passione di N. S. Gesù Cristo
Siena, Tip. V. Pazzini Carli e Figli, 1776
p. 428 – cm. 15,5
----- F XXVIII
Sagro apparecchio per la festa della gloriosa Vergine e Madre S. Teresa di Gesù
Perugia, Tip. Costantini, 1772
p. 82 – cm. 13,8
SALANI, Adriano L XXVIII
I nostri balilla
Firenze, Stabilimento Salani, 1936
Ed. Salani
p. 60 – cm. 15
----- G VIII
Il sangue preziosissimo di Gesù Cristo
Foligno, Tip. Giovanni Tomassini, 1822
p. 166 – cm. 16
SARACENI, Giambattista B XXI
La monaca novizia (Parte 1°)
Roma, Tip. Luigi Perego Salvioni, 1790
p. 182 – cm. 18,5
SARACENI, Giambattista B XXII
La monaca novizia (Parte 1°)
Roma, Tip. Luigi Perego Salvioni, 1790
p. 182 – cm. 18,5
SAVOIA, Umberto L XXIII
Esplosivi in uso presso l’esercito italiano
Milano, Stab. Grafico Matarelli
Ed. Sonzogno
p. 62 – cm. 16,3
----- G XXIV
La scuola di Gesù Cristo
Roma, Stamperia Giunchi, 1806
p. 78 – cm. 16
SCUPOLI, D. Lorenzo C XXXI
Dell’opere spirituali (Parte 1° e 2°)
………
p. 187 – cm. 16,3
----- D IV
Le sei domeniche ovvero i sei venerdì in onore del Sacro Cuore di Gesù
Roma, pel Fulgoni, 1807
p. 156 – cm. 16,3
SINISCALCHI, Liborio E II
Iddio del cuore Gesù Bambino (Tomo 1°)
Napoli, Stamperia Valentino Azzolino, 1755
p. 345 – cm. 16,5
SINISCALCHI, Liborio F XIX
Il cuor tra le fiamme dello Spirito Santo
Venezia, Tip. Lorenzo Baseggio, 1783
p. 336 – cm. 16,5
SINISCALCHI, Liborio F XVIII
Il cuor tra le fiamme dello Spirito Santo
Venezia, Tip. Lorenzo Baseggio, 1760
p. 357 – cm. 18
----- D XVIII
Sette brevi discorsi sopra le sette parole che disse Gesù dalla croce
Roma, Stamperia Contedini, 1817
p. 104 – cm. 16
----- D XIX
Sette brevi discorsi sopra le sette parole che disse Gesù dalla croce
Roma, Stamperia Contedini, 1817
p. 82 – cm. 16,2
----- I XXIII
Settenario in apparecchio della festa dello Spirito Santo
…..
(manoscritto)
p. 8, 71 – cm. 14,5
SOTOMAYOR, Giuseppe Maria I XVIII
Tributo ossequioso di novene e tridui
Firenze, per Michele Nestenus, 1727
Ad istanza di Bastiano Scaletti libraio
p. 512 – cm. 15
STANZIANI, don Francesco Maria D XXII
Mese di Maggio consacrato a Maria
Roma, Tip. Crispino Puccinelli, 1830
p. 158 – cm. 18
----- M II
Statuti della ven. Arciconfraternita della Morte, ed orazione
Roma, Stamperia, Rev. Cam. Apost., 1750
p. 149 – cm. 25
STEFANI, Stefano Lucchino E XXXI
La dolorosa passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo
Roma, Tip. Marco e Lorenzo Aureli, 1856
p. 72 – cm. 16
STENTUCCI, D. Biagio B IX
Lettere di risposta a monache
Venezia, Tip. Tommaso Bettinelli, 1751
p. 316 – cm. 19
STRAMBI, M. Vinc. G XXI
Il mese di giugno consacrato al preziosissimo sangue del nostro amabilissimo Redentore
Roma, Tip. Lino Contedini, 1829
p. 190 – cm. 16,5
----- D XII
Sui Sacri Cuori di Gesù e Maria (Tomo 1°)
Roma, Tip. del Collegio Urbano, 1839
p. 460 – cm. 14,6
----- D XIII
Sui Sacri Cuori di Gesù e Maria (Tomo 3°)
Roma, Tip. del Collegio Urbano, 1839
p. 609 – cm. 14,6
- T -
TACQUET, Andrea L XVI
Geometriae planae, ac solidae (Tomo 1° e 2°)
Roma, Tip. Mainardi, 1745
p. 326, 250 – tav. 6, 14 – cm. 20
P. TOMMASO DI GESÙ B VI
Travagli o sieno patimenti di Gesù Cristo (Tomo 3° e 4°)
Orvieto, Tip. Sperandio Pompei, 1859
p. 180 – cm. 18
P. TOMMASO DI GESÙ B V
Travagli o sieno patimenti di Gesù Cristo (Tomo 1° e 2°)
Orvieto, Tip. Sperandio Pompei, 1858
p. 211 – cm. 18
P. TOMMASO DI GESÙ B IV
Travagli o sieno patimenti di Gesù Cristo (Tomo 3° e 4°)
Orvieto, Tip. Sperandio Pompei, 1859
p. 180 – cm. 20
P. TOMMASO DI GESÙ B III
Travagli o sieno patimenti di Gesù Cristo (Tomo 1° e 2°)
Orvieto, Tip. Sperandio Pompei, 1858
p. 211 – cm. 20
P. TOMMASO DI GESÙ B II
Travagli o sieno patimenti di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Roma, Stamperia di Paolo Giunchi, 1795
p. 352 – cm. 16,5
P. TOMMASO DI GESÙ B I
Travagli o sieno patimenti di Gesù Cristo (Tomo 1°)
Roma, dalle stampe di Crispino Puccinelli, 1826
p. 355 – cm. 17,5
F. TEODORO di Santa Maria F XX
L’anima divota del SS.mo Sagramento (Parte 1°)
Roma, pel Fulgoni, 1801
p. 356, cxxxviii – cm. 15,5
TOSETTI, P. Urbano E VI
Novena preparatoria alla festa del Natale di N. S. Gesù Cristo
Roma, Tip. Pietro Aurelj, 1826
p. 56 – cm. 16,3
Fra TROTTOLINO G XXX
Dal fondo del mio sacco
Pistoia, Tip. Cav. Pacinotti e C., 1947
Ed. Bethania
p. 111 – cm. 17,5
TULLI, M. I XVI
Ciceronis epistolae ad familiares
Venezia, Tip. Iuliana, 1687
p. 728 – cm. 14,5
- U -
----- G XXXII
Gli ultimi trenta giorni di Carnevale
Roma, Tip. Pietro Aurelj, 1831
p. 129 – cm. 17,5
----- D I
Uffizio della B. V. Maria
Roma, per Luigi Perego Salvioni, 1797
p. 552 – cm. 15,5
- V -
VANNI, Pietro D VI
Esercizio della presenza di Dio
Venezia, Tip. Battista Recurti, 1764
p. 228 – cm. 15,5
VANNI, Pietro F XXXVII
Esercizio della presenza di Dio
Napoli, Ed. Massimo Porcelli, 1745
p. 254, 47 – cm. 14,5
VARI M VIII
1608
…..
fogli manoscritti – varie
VARI M VII
Manoscritti
Secc. XVI in poi
593 fogli – varie
VARI L XV
Fiori di letture italiane
Torino, Tip. Salesiana, 1892
p. 784 – cm. 21
VAULLET (sacerdote) C XXIII
Meditazioni per tutti i giorni dell’anno (Vol. 1°)
Torino, Tip. Giacinto Marietti, 1871
p. 414 – cm. 16,5
VENTURELLI, PROSPERO H XVIII
Sontuose nozze e felice convito
Firenze, Tip. Antonio Brazzini, 1824
p. 70 – cm. 15,5
VERCRUYSSE, P. Brunone G XXV
Nuove meditazioni pratiche
Torino, Roma, Ed. Marinetti, 1931
p. 632 – cm. 16
VICOVARO, F. Pietro da F XI
Il divoto del serafico Patriarca S. Francesco d’Assisi
Roma, per il Komarek, 1739
p. 244 – cm. 14,5
p. VINCENZO DA PORTO S. GIORGIO B XXXII
L’anima divota della passione di Gesù Cristo
Sanseverino, Tip. Ercolani, 1856
p. 183 – cm. 18
----- M III
Vita del Beato Alfonso Rodriguez
……
p. 186 – cm. 25,5
----- L I
Vita della Beata Maria Maddalena de’ Pazzi
Firenze, 1639
p. 412 – cm. 22,5
----- I IV
…….
…….
p. 78, 13, 12, 16, 24 – cm. 13,5
----- I VIII
…….
…….
p. 228 – cm. 13,5
----- C XXIV
…….
…….
p. 280 – cm. 17,5
----- D V
…….
…….
p. 322 – cm. 15,5
----- E XIII
…….
…….
p. 886 – cm. 14,5
----- F XXIV
…….
…….
p. … 352 … - cm. 14,5
----- G XV
…….
…….
p. 826 – cm. 14,7
----- H XXV
…….
…….
p. 172, 89, 16, 27 – cm. 14,3
*
Appendice
Questa è di gran lunga la più interessante biografia tra quelle contenute nel «Catalogo degli uomini illustri per santità della Congregazione Cassinese ovvero di S. Giustina di Padova», composto in latino dall’abate Armellini all’inizio del XVIII secolo, che ho tradotto in italiano per incarico della Congregazione stessa. Una spiritualità barocca fondata sulla sofferenza, che si esprime con una forza d’animo eroica, si rappresenta in miracoli impressionanti e si accompagna ad una commuovente e, questo è il vero prodigio, ancora intatta umanità. Utile a chi si interessa della storia della spiritualità, comparata e non, dell’età barocca e delle figure femminili in genere.
LA STRAORDINARIA VITA DI MARGHERITA CORRADI
MONACA BENEDETTINA
1570-1665
autore Don MARIANO ARMELLINI (1733)
Margherita Corradi nacque intorno al 1570 a Roma da una famiglia di condizioni abbastanza buone, dal padre Furnio Corradi, nobile d’Ameria, e dalla madre Prudenzia Pistoni romana; ma all’età di cinque anni, condotta ad Ameria, antichissima città umbra, fu introdotta all’età di tredici anni nel monastero benedettino di S. Caterina della stessa città, e vi rivestì l’abito assumendo il nome di Margherita (prima si chiamava Cleria). Visse quasi fino a cent’anni in grandissima austerità e santità , diffondendo intorno a sé il profumo delle più alte virtù: infatti, non solo (come testimoniò il p. Priolo della Congregazione somasca, per molti anni suo confessore), conservò sempre illibata da ogni peccato mortale la candidissima tunica ricevuta col battesimo, ma non diede mai un consapevole assenso alla più piccola macchia derivante da qualsiasi vizio. Perciò il suo confessore, quando la ascoltava, la rimandava via con la sola benedizione e con l’assoluzione «condizionata»; non si trovava niente nella sua anima che non appartenesse a Dio e camminò davanti a Lui sempre in obbedienza ed in semplicità, percorrendo sempre il cammino di virtù in virtù, come una preziosa perla, di fatto e non solo di nome, custodita dalla divina grazia con grandissimo zelo e resa di giorno in giorno più bella come l’oro nella fornace dalla costante pena delle tribolazioni e delle difficoltà.
Terminato appena il noviziato, un’ulcera inguaribile comparve sulla sua
mammella, ma essa non lo rivelò mai a nessuno per pudore, eccetto che a due
monache che vincolò al segreto; pertanto, trascurando di curarsi, l’ulcera
alla fine degenerò in tumore e la mammella cominciò a pullulare di vermi.
Così, mentre un mattino ella stava per raccogliere i vermi che era caduti
dalla sua mammella (tanto li rispettava), scoperse stupefatta che si erano
trasformati in perle; e poiché non poté assolutamente celare questo miracolo,
la sua mammella fu da tutti chiamata conchiglia delle perle.
Poco tempo dopo aver
pronunziato i voti monastici, le apparve Cristo Signore in aspetto venerabile
e glorioso, risplendente di gran luce, ed Egli le comandò di non mangiare
carne di qualsiasi tipo per tutta la vita e di non usare letti per dormire.
Obbedì senza indugio, anche se il senso del gusto vi si opponeva
risolutamente: pur essendosi sempre nutrita volentieri delle frattaglie degli
animali, ugualmente da allora fino alla morte se n’astenne completamente,
accontentandosi di soli vegetali e di una piccola quantità di pane; inoltre,
da allora prese sonno sopra dei nudi assi sempre vestita e per brevissimo
tempo. Ma il celeste sposo, che aveva proibito a Margherita le consolazioni
corporee e terrene, nutriva senza risparmio la sua anima con la manna
soavissima, anche se nascosta, dell’orazione, la cui dolcezza superiore a
quella del favo e del miele usò per attirarla fin dall’infanzia e condurla in
quella solitudine dove parlava al suo cuore. Per tale ragione, quando due sue
zie, monache dello stesso lodato monastero, le assegnavano a motivo della sua
età i lavori manuali, Margherita fuggiva ogni volta che n’aveva l’occasione e
si nascondeva in rifugi irraggiungibili per potersi dedicare con più ardore
alla preghiera; sopportava quindi con grandissima pazienza i loro frequenti
rimproveri sulla sua presunta pigrizia che le faceva fuggire la fatica. Lei
invece, nutritasi col cibo dell’orazione frequente, subito raggiunse la
statura di una completa santità e come una fiaccola risplendente, posta sul
candelabro dallo stesso Sovrano del mondo, fornì la luce di tutte le virtù a
coloro che entravano nella casa del Signore.
Durante un momento di preghiera vide in spirito che una delle tre travi che avevano il compito di sostenere il tetto stava ormai quasi per crollare e che le altre due minacciavano di seguirla tra breve. La serva di Dio comprese immediatamente che le assi simboleggiavano i tre voti monastici: era inosservato quello di povertà e ciò metteva in pericolo gli altri due. Era perciò suo dovere riparare ogni cosa e ripristinare l’originaria osservanza. E così, appena fu lei ad essere eletta superiora in modo sorprendente e contro la sua volontà, subito si diede ad ispezionare le celle e ordinò che fossero portati via tutti gli oggetti e posti in un locale d’uso comune; di essi fece restituire a ciascuna monaca ciò che era strettamente necessario, secondo gli ammonimenti divini, in particolare le vesti; il denaro invece lo ripose nella cassa comune, affinché non fosse più possibile da quel punto a nessuno prenderne neppure un soldo per fare qualsiasi cosa senza che lei ne fosse a conoscenza. Fece ciò col consenso pronto e convinto di tutte le monache, ed in questo modo quel monastero fu riformato in pochissimo tempo. Dopo aver gettato le fondamenta della povertà e dell’obbedienza, subito le altre cose si sistemarono e rafforzarono: la totale custodia del silenzio, l’amore per la preghiera, il desiderio della solitudine, l’assidua presenza nel coro, la lontananza dai muri perimetrali, la fuga dalle persone secolari, l’abitudine ai digiuni ed alle vigilie, la frequente assunzione dei sacramenti, insomma la forma corretta e lodevole della vita monastica che ancora oggi vi perdura tra il plauso di tutti. Ma cosa non avrebbe potuto richiedere alle sue sottoposte quella Superiora la cui vita ed ogni atto erano norma e modello di virtù e santità alle altre?
Accingendomi dunque a descrivere le virtù di Margherita, comincerò dall’amore
di Dio e del prossimo, che è il primo e più grande comandamento sul quale si
basano l’intera legge ed i profeti, come insegna il Salvatore. A tal punto
Margherita era infiammata d’amore per Dio che fortissimamente desiderava che
Egli fosse grandemente amato e costantemente lodato da tutte le creature.
Secondo il detto di S. Gregorio Magno: E’ grande nell’amore di Dio colui che
induce molti ad amare Dio; perciò, dal momento in cui aveva cominciato a
provare amore sommo verso Dio, Margherita trascinava con la parola e con
l’esempio quante più consorelle poteva alla preghiera, alle flagellazioni
volontarie, alla recitazione delle divine lodi e alle altre opere di pietà.
Del resto, l’incendio del divino amore che le infiammava il cuore si
diffondeva anche nel resto del corpo, cosicché più di una volta fu costretta,
per abbassarne la temperatura, a pregare a lungo genuflessa sul ghiaccio con
le ginocchia scoperte.
Fornì chiarissime prove anche di uno straordinario amore verso il prossimo,
che anch’esso promana dallo stesso fonte del divino amore. Ogni volta che ve
n’era occasione, molto volentieri serviva tutte le monache in qualunque
faccenda, leggendo quasi sempre al loro posto a mensa, e lo faceva con una
voce talmente soave, devota e assolutamente angelica che tutte si nutrivano
della letizia del suo spirito e della compunzione del suo cuore. Quasi sempre,
bussando alle porte delle celle, esortava le monache a celebrare il divino
ufficio, e lei stessa assisteva con cura le consorelle malate in qualsiasi
cosa fosse necessaria, porgendo a ciascuna con le proprie mani medicine e
cibo; lei stessa si sobbarcava con decisione le mansioni delle converse (come
le chiamano), non scansando i compiti più umili della cucina, dell’orto e
degli altri locali di lavoro; scopare la sporcizia, lavare i vasi, rifare i
letti, non tralasciando infine nessun dovere di carità ed atto di
misericordia. Se qualcuno dei parenti o degli amici le donava del cibo, subito
lo distribuiva a tutte le monache senza fare distinzioni, anche se in tal modo
ben poco ne sarebbe toccato a ciascuna. Benché, infatti, fosse molto ristretta
verso se stessa, era invece generosa e liberale con le monache, cercando con
grande sollecitudine che tutto quello che riguardava il loro vitto fosse
organizzato con abbondanza ed efficienza, nella misura in cui è consentito
dalla condizione monastica, e quando era lei ad occuparsi per una settimana
della mensa o della cucina, faceva in modo che le monache ricevessero sempre
qualcosa in più del solito.
La sua vita univa con un bel nodo la contemplazione all’azione: con la
contemplazione si rivolgeva a Dio, con l’azione al prossimo. E così, dopo aver
molto ed a lungo pregato, si metteva a tessere bende e fasce, (non
allontanandosi però con la mente da Dio), e ne produceva in breve tempo una
grande, quasi incredibile quantità che dopo donava per amore di Dio e per
carità verso gli altri. Ma, poiché era giovane e si sentiva piena d’energie
fisiche, dopo le consuete preghiere, si sottoponeva anche a mansioni più
pesanti, ma tutte in relazione alla gloria ed al culto di Dio: era solita
cucire albe, cotte, pianete, vele ed altri tipi d’indumenti sacerdotali e di
suppellettili sacre che donava alla chiesa ed all’altare, non conservando
assolutamente niente presso di sé, né ricavando da essi alcun benché minimo
lucro. Era infatti del tutto aliena da ogni brama ed interesse mondani, ma
tutto faceva unicamente spinta dall’amore di Dio: Infatti l’amore di Dio, come
afferma il sullodato Gregorio Magno, opera grandi cose, se c’è; quando invece
ci si rifiuta di agire, vuol dire che non c’è.
Iniziando a descrivere le altre sue particolari virtù, ci viene innanzi per
prima l’astinenza che fu in lei così grande da non poter essere descritta a
parole e per iscritto senza suscitare ogni volta un’intensa ammirazione:
osservava integralmente non solo la quaresima prescritta dalla Chiesa, ma
anche altre, come quella dei frati Minori. Anzi, l’intera sua vita dopo
l’ingresso nell’Ordine monastico fu una perpetua quaresima: oltre a non
mangiare mai carne, come abbiamo detto più sopra, non toccò neppure uova,
latticini e gustò molto di rado anche i pesci. Una volta, quando il suo
confessore padre Priolo le ingiunse di mangiare due uova, Margherita gli
obbedì subito, ma nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscì a far accettare
quel cibo allo stomaco e fu costretta a vomitarlo. E così sua invariabile
pietanza erano il pane e le verdure e la sua bevanda era l’acqua (del vino non
poteva sopportare nemmeno l’odore). Tutti gli ortaggi che servivano al suo
sostentamento per l’intera settimana li cucinava in una volta sola la
domenica, e così da quella stessa pentola assumeva la porzione giornaliera,
molte volte ricoperta di muffa, andata a male e talvolta piena di vermi: lei
allora, dopo averla riscaldata, la mangiava avidamente, perché al suo palato
aveva un gusto soave e dolce, e in tal modo ristorava con mirabile gioia sia
il corpo che l’anima. A coloro che le dicevano giustamente che un cibo
conservato tanto a lungo era sordido, ripugnante e ammuffito, lei rispondeva:
Questo è quello che mi conviene e mi piace più di tutto. Infatti, quel cibo di
Margherita aveva, come la manna mandata dal cielo, il piacere e la soavità
d’ogni sapore. Questo suo abituale regime alimentare, questo suo continuo
digiuno, talvolta la portava a trascorrere senza mangiare nulla un giorno
intero, specialmente il mercoledì, ed altre volte due ed anche tre giorni e,
nutrita del grasso delle contemplazioni celesti, si dimenticava del tutto il
cibo materiale, specialmente quando assumeva la santa eucarestia. Sarebbe
rimasta ancora più a lungo in completa astinenza se non avesse mangiato
qualcosa quando le monache la esortavano a prendere cibo, ma più per
allontanare un motivo di vanagloria che per bisogno di cibo: talmente soave è
il Signore per coloro che lo gustano. Quando la interrogavano sul perché si
astenesse così a lungo dal cibo, rispondeva giustamente: Non vedete che
mangio? Infatti si cibava del cibo degli angeli che le forniva straordinaria
energia e forza, affinché si portasse al monte di Dio con la forza di quel
cibo, al punto che in quei giorni lei si sentiva più forte ed il suo volto
appariva agli altri più vivo e rotondo. In particolare nei venerdì, in onore
della passione del Signore non assumeva nient’altro cibo che pane e come
bevanda assenzio ed aceto, e questo mai prima del tramonto del sole,
prolungando con grande resistenza fino a quell’ora il digiuno. Era una cosa
che destava grande meraviglia vedere che anche nella stagione invernale,
quando tutti gli altri alberi dell’orto erano spogli, quello d’assenzio invece
emetteva sempre delle foglioline negli stessi venerdì per il consumo di
Margherita. E non sazia di fornire tanta amarezza al suo palato, torturava la
gola con un diverso tormento: più di una volta, mentre mondava l’orto assieme
alle converse, si era messa a masticare le ortiche che aveva trovato, cosa
che, aveva confessato, aveva fatto molte volte fin dalla giovinezza per
mortificare la gola. Quando si infliggendosi queste ed altre simili penitenze,
insultava il suo corpo dicendo: Così da ora in poi bisogna comportarsi con te,
mostro fetido ed orrendo, per farti servo dello spirito. Tuttavia, negli
ultimi anni della vita mitigò un poco questo rigore del digiuno che non
permetteva di assumere assolutamente cibo in qualche giorno della settimana
per obbedire al suo confessore, mangiando così dei pezzettini di pane e poche
erbe. Ma non bisogna tacere che Margherita, fosse per l’esempio esigentissimo
del suo perenne digiuno o per la sua preghiera, infondeva anche nelle altre la
capacità di digiunare. Nell’anno 1664, in quel cenobio viveva una monaca che
non poteva digiunare senza grande sforzo e con grande difficoltà; a lei
Margherita un giorno sussurrò all’orecchio: Ti benedica Dio e ti conceda
quella virtù che ha donato il gusto del Cielo. Mirabile a dirsi! Da quel
momento la monaca non provò più alcuna difficoltà a digiunare, anzi molto
volentieri cominciò a digiunare quotidianamente, a tal punto è vero quel detto
di S. Basilio Magno: il digiuno rafforza i potenti.
Altre sue penitenze
Né si limitarono a questo l’amore della sofferenza e il desiderio di
affliggere il corpo. A questi tormenti per la gola aggiungeva delle gravissime
penitenze, con le quali esercitò egregiamente la sua virtù fino all’ultimo
respiro di vita. Era così pronta a flagellarsi, che più volte al giorno o
nella notte, tre, quattro o addirittura cinque volte in ciascun giorno si
colpiva sempre a sangue per lungo tempo;
Dopo che Cristo Signore, apparsole, le aveva comandato di non dormire più sul
letto, lei osservò questo col più grande scrupolo, andando a dormire da quel
momento sui piedi lignei degli altari; però non distendeva completamente il
corpo, ma quel pochissimo tempo in cui dormiva sempre stava sempre ripiegata e
contratta ed a volte prostrata in ginocchio; quando per dovere d’obbedienza,
specialmente nei periodi di malattia era costretta a servirsi del letto,
neppure allora l’ingegnoso zelo interrompeva la penitenza che le era stata
imposta da Dio: collocava abilmente sull’imbottitura una tavola di legno della
stessa misura del suo corpo, ricoperta da un telo perché non fosse scoperta e
su di essa giaceva. Altre volte, quando le veniva ordinato di mettersi nel
letto, obbediva subito per poi discenderne immediatamente per dedicarsi alle
consuete preghiere e flagellazioni inginocchiata per terra: per nessuna
ragione, infatti (dopo che Dio glielo aveva vietato), poteva rimanere a lungo
su di un letto o prendervi sonno. Se vi ci si provava, di sua volontà o per
comando altrui, immediatamente era presa da freddo intensissimo e da tremiti,
anche in piena calura estiva; allora scendeva immediatamente a terra e si
prosternava ed il freddo se ne andava, mentre lei cadeva addormentata
brevemente ma placidamente, qualunque ora fosse. E’ evidente da ciò che lei
era mossa da un così grande ed intimo odio verso se stessa ed il suo corpo da
scorgere in esso, rigidamente e spietatamente, una specie di pericolosissimo
nemico; e quest’odio certamente era cresciuto sempre di più dalla volta in cui
Dio le aveva mostrato dal vivo la deformità della natura del corpo e la sua
sozzura e le aveva fatto comprendere tutti i danni e gli svantaggi che esso
reca all’anima e tutti i peccati e le scelleratezze che fa operare contro Dio;
le aveva comandato, inoltre, che lo stesso corpo fosse tormentato severamente
come colpevole causa di tutti i mali ed oppresso sempre come un vile schiavo e
tenuto sotto il freno di una dura servitù, affinché non potesse mai rivoltarsi
contro Dio e lo spirito. Questo fece concepire a Margherita un tale odio,
orrore ed avversione nei riguardi del corpo che riteneva, nonostante lo
trattasse con durezza, di non punire il corpo come quello avrebbe meritato, e
si doleva sempre di non soffrire abbastanza nel suo corpo.
A queste cose si aggiunse la frequente persecuzione del diavolo che, bruciando
d’invidia per tanta virtù, per permissione di Dio la colpiva ferocemente; ora
buttandola a terra con impeto infernale, ora sconciandole il volto e le spalle
con dei lividi ed irritando le piaghe, ora per turbarla, tentando di
azzannarla in forma di grande ratto, ora, inondando d’acqua fino alle
ginocchia la cappella, dove lei offriva le preghiere all’Altissimo, ora
spezzando l’acquasantiera, rovesciando l’olio delle lampade e creandole molti
altri ostacoli di questo genere; e ciò che era più grave ed importuno, sia con
interne suggestioni sia con visioni esterne cercava di indurla con la voce e
col gesto ad un disonesto amore per le creature e ad atti impuri anche all’età
ormai decrepita di 90 anni. Dio permetteva al demonio di tentarla in tutti
modi perché ciò sarebbe ricaduto a maggior confusione dello stesso (come
accadde al beato Giobbe e ad altri santissimi uomini); infatti, Margherita
passava sopra le molestie fisiche con animo sereno e volto ridente; invece, le
tentazioni e gli incitamenti osceni le respingeva lontano e le sconfiggeva con
le asprissime penitenze che poco sopra abbiamo descritto, riportando così un
glorioso trionfo su Satana ed i suoi tranelli.
Dimostrò un’eccezionale sopportazione non solo verso questi attacchi
demoniaci, ma anche nei riguardi delle offese recatele dagli uomini. Questa è
infatti quella virtù che dal beatissimo apostolo è descritta come necessaria
al conseguimento delle promesse, ed è presentata da Cristo Signore come
certissimo segno delle predestinazione: Nella pazienza possederete le vostre
anime (Lc. 21,19). Margherita, dunque, pervenne a quell’altissimo grado di
pazienza che le faceva rendere grazie per le offese ricevute e rispondere con
benedizioni alle maledizioni e compensare le derisioni e le umiliazioni con
doni e benefici. Ci fu infatti in quel monastero una monaca che, istigata dal
nemico del genere umano, aveva deciso di appiccare il fuoco alla cantoria,
dove Margherita era solita pregare e dormire, ed anche ne parlava più volte
sfacciatamente, dicendo alle altre monache: Volete conoscere la sua ipocrisia
e la falsa santità? E’ talmente vecchia che neppure Dio se la vuole prendere;
perciò vive ancora. Margherita, invece, continuava con assiduità a trattare
quella stessa monaca come una sua benefattrice, con doni ed altri segni
d’affetto. Un’altra monaca soffriva di scrofole al collo, fetide e infette, e
Margherita detergeva con grande affetto di carità le sue piaghe e la
secrezione che da esse fuoriusciva, e cercava per quanto era in lei di
sostenerla e consolarla; ma con il permesso di Dio e l’incitamento del
diavolo, quella monaca concepì un tale odio e una tale animosità verso di lei
che non poteva in alcun modo né vederla né tollerarla, e crebbe a tal punto la
sua avversione che non poteva sopportarne la voce, benché soavissima, quando
cantava le divine lodi insieme alle altre monache; e perciò, quando cedeva
alla tentazione, molto spesso, mormorandole contro, usciva dal coro
lanciandole insulti e oscenità. Un giorno, dopo aver aspettato Margherita
all’uscita dalla cantoria dove aveva eseguito un incarico, l’insultò con
offese e minacce pesantissime. Ma la serva di Dio non rispose neppure una
parola, sopportando con grandissima pazienza tutti quegli insulti; quando le
chiesero se veramente le fossero state scagliate tutte quelle ingiurie,
rispose coprendola: Mi ha parlato, non mi ha aggredita né insultata.
Anche un’altra monaca soffriva di una piaga talmente purulenta che lo stesso
chirurgo si rifiutava di avvicinarla per l’intollerabile fetore che da lei
emanava. Margherita, invece, con indomita pazienza ed inesauribile carità,
ungendo e addolcendo con la mirra della mortificazione tutti i suoi sensi, la
servì costantemente fino alla sua morte, applicando le medicine alla piaga,
ricercando e facendo incetta da ogni parte delle bende più leggere e la
manteneva, per quanto era possibile, pulita e libera dal pus. Ma quella, per
la forza dello stimolo satanico, e vinta dal dolore e dalla nausea per una
malattia così atroce, invece d’amare Margherita per gratitudine dei benefici,
glieli imputava a colpa, e ogni volta che lei le porgeva medicine e cure, la
accoglieva con offese e con le più aspre parole, accusandola di essersi così
dedicata a lei non per carità, ma per ottenere una meschina gloria umana ed
essere considerata santa dagli altri. Come reagiva Margherita? Diventava come
un uomo che non sente, che non ha rimproveri nella sua bocca (Ps. 37,15), e
proseguiva con decisione in silenzio quest’opera così ardua, anzi quanto più
quella s’irritava ed insolentiva, tanto più grandi erano la cura e l’impegno
di Margherita nel curarla e non si perdeva d’animo e mai le sue mani si
stancarono finché quella restò in vita, sebbene la angustiasse molto e le
facesse mandare giù bocconi amarissimi. Infatti, delle monache un po’ delicate
e non abbastanza attente alla sua dedizione, avevano ripugnanza di Margherita
per quello che faceva e non le permettevano di lavarsi le mani nella bacinella
comune, comportandosi con lei senza alcun rispetto e generosità; lei invece,
quando toccava la parte malata e la sporcizia e quando riceveva gli insulti,
era sempre piena di letizia e di gioia, considerando sempre nell’animo quel
detto: Dio ama il donatore gioioso (2 Cor. 9,7).
Pur soffrendo, dunque, persecuzioni e calunnie o toccandola varie pene e
tribolazioni, fu lontanissima dal dolersene, dal lamentarsene o dal desiderare
di liberarsene; anzi, volle che i persecutori e detrattori ricevessero il dono
dei suoi benefici e dei suoi servizi, frequentemente ripetendosi il detto:
L’uomo che tenta di difendersi dai persecutori e cerca di schivare le
tribolazioni e le afflizioni, respinge Dio e la sua grazia. Infatti, Dio vuole
uomini pazienti che acquistino la corona della vita eterna con la
sopportazione; ma per Margherita non significava nulla tollerare pazientemente
tutte le avversità, se in mezzo ad esse non si fosse anche mirabilmente
gioito. Questo le era stato particolarmente inculcato da Cristo Signor,
provare più gusto nella tribolazione in Cristo che nel dolce e nel miele e
gloriarsi delle proprie infermità; e desiderando lei apprendere il modo per
conseguire ciò, Dio le insegnò una mirabile preghiera in grazia della quale
non si sarebbe turbata, né avrebbe lasciato il sentiero della pazienza, anche
se fosse stata fatta a pezzi, né avrebbe mai potuto distrarsi o distaccarsi
dall’unione e dalla contemplazione del sommo bene.
La sua umiltà
É
certo che l’umiltà, fondamento e origine di tutte le virtù, aveva messo radici
profonde nel suo cuore, come si può dedurre dal fatto che desiderava
ardentemente e ricercava con impegno i segni di disprezzo e le derisioni come
fossero stati doni preziosi ed insigni benefici, sia quando era semplice
monaca sia quando era a capo del monastero; nell’ultimo caso, infatti, pregava
ardentemente, anzi costringeva con l’autorità della sua carica le monache e le
stesse converse a disprezzarla e ad arrecarle offese ed ingiurie. Anche se con
qualche difficoltà, esse per dare una certa soddisfazione alla sua umiltà
talvolta la assecondavano, ed allora lei mostrava grandissima gioia e giubilo
del cuore, affermando sempre che quando era coperta d’insulti le sembrava di
essere cinta da una corona di fiori. Quando, invece, le altre si rifiutavano
di agire in maniera così ingiusta e volgare, allora Margherita chiedeva loro
perdono: questo fu evidente soprattutto quando lei, in qualità di badessa,
ordinò ad una sorella conversa di aggredirla con insulti ed offese; quella sul
momento acconsentì per obbedienza, ma poco dopo, ritenendo di aver agito male
e dolendosene grandemente (non considerava, infatti, che l’offesa non è tale
se viene gradita), chiese a Margherita: Perché mi costringi a comportarmi con
te così ingiustamente e a compiere una tale indegnità? Allora l’umile serva di
Dio, subito inginocchiatasi e baciandole i piedi, la pregò di perdonarla.
Viveva in quei tempi a Viterbo la monaca Giacinta Marescotti, celebre per
santità, sorella del conte di Vignanello e dell’illustrissimo cardinale
Galeazzo Marescotti che morì quasi centenario, subito dopo aver appreso che
l’auspicato inserimento nell’albo dei beati di quella serva di Dio, a lui
legata da un così stretto vincolo di parentela, sarebbe avvenuto ben presto
per opera del santissimo pontefice Benedetto XIII. Infatti, il cardinale morì
il 3 luglio 1726, mentre la sorella Giacinta fu inserita nell’albo dei Beati
il primo settembre dello stesso anno. Giacinta, dunque, essendole giunta la
fama che divulgava le virtù e i prodigi di Margherita Corradi, le scrisse
rivolgendole l’epiteto di santa, richiedendole una corona del rosario per
devozione e domandandole che rispondesse per iscritto personalmente.
Questo indispose talmente Margherita e le recò tale dolore che disse apertamente che non le avrebbe scritto una parola e non le avrebbe mandato niente. Continuava a lamentarsene come se le avessero inferto un’atroce ferita, e ciò è vero indizio d’umiltà, come insegna il salmista con le parole e l’esempio: Invero mi sono esaltato, sono contristato ed umiliato. Obbligata, ciò nonostante, a rispondere, usò allora pochissime, fredde e secche parole, mentre un’altra monaca parente di Margherita, di nome Cherubina, mandò a Giacinta di nascosto un pegno sottratto alla sua corona di rosario.
Era sinceramente convinta nel più profondo dell’animo di essere la peggiore e
la più abietta tra le creature perciò quando era trattata male da qualcuno,
riteneva che questo avvenisse perché Dio aveva rivelato a quella persona la
sua indegnità e la sua pochezza. Pregava Dio per i calunniatori e i
persecutori come se fossero gli amici più cari con tale fervore che quasi
dimenticava di pregare per se stessa e spesso baciava il pavimento su cui essi
avevano camminato, come se fosse stata una terra santa. Il confessore che lei
aveva in quel periodo, Cristoforo Varasio, si andava annotando molte cose
della sua vita e delle sue opere che apprendeva da lei stessa. Margherita
allora, avendo intuito ciò, una mattina gli disse che nella notte appena
trascorsa le era stato rivelato che non poteva trovarsi in quella generazione
umana una persona più cattiva e scellerata di lei che, se non avesse dimorato
in quel cenobio, lontana dai pericoli in cui si dibattono le persone del
mondo, avrebbe compiuto azioni ancora peggiori. Difficilmente avrebbe
conseguito l’eterna salvezza, se lui che ascoltava le sue confessioni avesse
continuato a pensare che c’era in lei qualcosa di buono. Ciò avvenne nell’anno
1660. Che dire a questo proposito, se non gemere con l’apostolo: Come sono
incomprensibili i giudizi di Dio e misteriose le sue vie!, e con il salmista:
Quanto è terribile Dio nei suoi giudizi sopra i figli degli uomini! Chi non ha
da temere dai suoi giudizi? Chi oserà insuperbire? Chi presumerà di se stesso?
Ecco in qual modo Dio desidera i suoi servi e li rende umili; comanda di
sperare tutto, di tutto attribuire alla divina grazia, la quale è seguita dal
nostro libero arbitrio, senza la quale anche il più grande dei santi
riuscirebbe peggiore dello stesso Giuda. Qualcosa di simile Dio rivelò alla
serafica Teresa: il perdurare di una degna amicizia verso una certa persona
avrebbe comportato un graduale raffreddamento dello spirito e poi l’insorgenza
dei più gravi peccati, a causa dei quali sarebbe stata gettata nell’Inferno
più in basso dello stesso Lucifero. Guai infatti a coloro che di loro volontà,
chiudendo gli occhi, espongono se stessi frequentemente e temerariamente a
tanti pericoli e occasioni di offendere Dio, non dando ascolto al monito del
divino Spirito: Chi ama il pericolo perirà in esso.
Un’altra volta, mentre stava leggendo in un certo libro delle varie specie di
peccato che gli uomini possono commettere, in particolare dell’adulterio, ebbe
la tentazione di dire a se stessa: «io non ho mai commesso un peccato simile»;
udì allora una voce che le diceva: Non ci fu mai, né mai ci sarà, né adesso si
può trovare nel mondo intero una creatura che abbia commesso o commetterà più
peccati di te; infatti, gli altri hanno commesso quel peccato più volte col
corpo, tu invece in ogni momento, durante la preghiera, la meditazione, la
recitazione dei divini uffici ed in molte altre attività anche buone, tu sei
trascinata all’adulterio con lo spirito ed il sentimento.
Una simile risposta ebbe da Dio quando, durante una notte di Natale, lei
chiese di essere ammessa tra il bue e l’asinello per adorare il Bambino Gesù:
Nel presepe non c’è posto per te, perché gli animali al tuo confronto hanno
maggiori e più meritorie qualità. E così, per qualche leggerissima mancanza di
una non completa concentrazione durante la lode divina, Dio manteneva
nell’umiltà questa sua serva, sebbene ella non commettesse che lievissimi
peccati senza piena consapevolezza. Certamente al divino giudizio, che
sottopone gli atti umani ad un esame rigoroso secondo giustizia, quelle cose
che a noi adesso sembrano minuscole come atomi, appaiono elevate come monti:
infatti ogni vivente non troverà giustificazione davanti a lui; i cieli al suo
cospetto non sono puri; e Gregorio Magno, a proposito del versetto dei salmi:
«Io giudicherò le giustizie», dice: I nostri meriti all’esame della giustizia
divina si convertono in colpe.
Margherita, dunque, educata da Dio in tal modo, comprendendo perfettamente come fosse necessaria per lei l’umiltà, esercitava quella virtù più spesso che poteva; in particolare ebbe come costume il baciare i piedi alle monache, anche quando rivestiva la carica di badessa, e specialmente quando riceveva l’eucarestia. Per quella stessa profondissima consapevolezza della propria piccolezza e per la somma riverenza della maestà divina nascosta nel santissimo Sacramento dell’altare, osava accostarsi alla sacra mensa solamente una volta al mese, e ciò per ottemperare alle disposizioni canoniche che considerano tale intervallo di tempo il limite massimo di astinenza per i monaci dal conforto dei sacri misteri. Ma in seguito, assecondando il desiderio del suo confessore, padre Priolo, si nutriva quotidianamente del cibo celeste, col quale Dio le concedeva enormi e straordinari doni: infatti egli dà grazia agli umili.
Mentre era ancora tra i vivi, costrinse quelle monache che erano un po’ a
conoscenza delle sue cose a promettere di non farne cenno ad alcuno e di non
rivelarle neanche dopo la sua morte; desiderando moltissimo la scomparsa e del
loro ricordo e della loro menzione. Ma dopo l’ascesa al Cielo di Margherita,
Angelo Blasi degli Eremitani di Sant’Agostino fu mandato al monastero dal
vescovo d’Ameria, Gaudenzo Poli, col compito di interrogare con ordine e con
cura le monache sulle cose compiute da Margherita, le sue virtù e i suoi
miracoli, e di riferirne integralmente per iscritto.
Allora tutte loro, prima di essere convocate, spontaneamente a gara si recarono da lui per testimoniare ciò che di lei sapevano; quelle che avevano giurato a Margherita di mantenere il silenzio ammisero di aver deciso dapprima di comune accordo di non riferire nulla, ma che poi si erano sentite internamente costrette e spinte a liberare la loro coscienza e a parlare, ritenendo che sarebbero state grandemente colpevoli se avessero continuato a tacere tutte le meraviglie compiute segretamente da questa serva di Dio; e così anche in questo caso venne confermata la parola del nostro Salvatore: Chi si umilia, sarà esaltato.
La sua devozione
Da tutto ciò si può facilmente ricavare quanto sentimento di devozione
riversava nel culto divino, a cominciare dalle lodi nel coro che lei
salmodiava con somma concentrazione e riverenza ed alle quali faceva in modo
che anche le altre partecipassero con la maggiore diligenza possibile. Si
recava nel coro per prima e chiamava sempre le altre monache e le incitava ad
affrettarsi con zelo alle lodi del Signore; persino quando cominciò ad essere
oppressa dalla vecchiaia e dalle infermità ed a stento poteva accelerare il
passo, quando si doveva recare nel coro, giunta nelle sue vicinanze, correva
con tanta velocità che sembrava volare più che camminare, e i gradini delle
scale non li faceva ad uno ad uno, ma due alla volta con un balzo, colle ali
che l’amore divino forniva al suo corpo. Diceva allora alle altre monache:
Correte, correte, non vedete coloro che ci aspettano? Oh, quanto sono belli!
Presto, presto, cominciamo, non li costringiamo ad aspettarci ancora. Tali
parole ed esortazioni avevano lo scopo di far iniziare prima possibile la
divina salmodia; si pensava, perciò, che lei avesse al massimo grado la
possibilità di vedere gli angeli mentre rivolgeva a Dio la preghiera, in
particolar modo durante le sacre funzioni nel coro. A questo proposito, ad
un’altra monaca di nome Maria Francesca, della nobile famiglia Racani, figlia
della sorella di Margherita, capitò talvolta di sentire mentre Margherita
salmodiava un dolcissimo suono come di cetra o di organo, il quale
accompagnava la sua voce in modo talmente soave da far credere piuttosto ad un
concerto di angeli, e ciò sicuramente quando ancora Maria Francesca non aveva
quasi idea della santità di Margherita. In un’altra occasione la stessa monaca
vide Margherita sollevata da terra, genuflessa su delle nuvole, con le mani
giunte in preghiera, e le sembrò una seconda S. Chiara d’Assisi. Infine,
quando contrasse la malattia che l’avrebbe condotta alla morte, Margherita
ripeteva spesso: Se il Signore me lo concedesse, dopo la morte uscirei molto
volentieri dal sepolcro per partecipare spesso alle divine lodi con le altre
monache, e si dice che dopo la sua dipartita la sua voce sia stata udita in
modo chiaro e distinto cantare nel coro con le altre.
Aveva devozione e amore grandissimi nei riguardi del sacrosanto sacramento
dell’Eucaristia, e di conseguenza mostrava particolare venerazione e rispetto
nei confronti dei sacerdoti, in quanto ministri di un così grande sacramento.
Un mattino, quando alcuni sacerdoti celebravano i sacri misteri nella sua
chiesa, Margherita cominciò a sollecitare le monache: Venite, venite, in
chiesa c’è tutta la corte celeste, la chiesa è ormai piena, venite, venite a
vedere cose tanto belle. Credeva, infatti, che anche le altre monache
vedessero le stesse cose che lei percepiva lei, mentre non vedevano in quel
momento altro che uno o due uomini, oltre ai sacerdoti, presenti nella chiesa.
Margherita non cessava di esortare le monache ad essere riconoscentissime ai
sacerdoti che celebravano i sacramenti nella loro chiesa, perché i sacerdoti
(diceva) sono degni di ogni ossequio e servizio come se fossero altrettanti
dei in terra: Io ho detto siete dei e tutti figli dell’altissimo. (Ps. 81, 6).
Con quanta preparazione, con quanta umiltà, con quanto amore si accostasse al
divinissimo sacramento è persino difficile a dirsi, ma può facilmente
intendersi dal ricchissimo frutto, dalle speciali grazie e dai preziosissimi
doni che ne traeva. Percepiva, infatti, l’ingresso nuziale nella sua anima di
Cristo Signore presente nelle sacre specie, il quale, dopo essere entrato,
chiudeva la porta dietro a sé per dilettarsi in lei senza essere disturbato e
rendere ancora più dolce la sua permanenza. Margherita continuava a sentire
per vari giorni i soavissimi effetti della divina presenza, finché una
mancanza, anche la più insignificante, glieli faceva perdere. Inoltre, quando
assumeva il corpo del nostro Salvatore, specialmente nelle grandi festività,
il suo volto s’infiammava, bellissimo, e gli occhi scintillavano di grande
luce come due stelle del cielo, né vi era alcuno che poteva fissare il suo
volto a causa dell’intenso splendore che emanava. In certi periodi si
accostava alla mensa divina quotidianamente, in altri una volta alla
settimana, in altri ancora due o tre volte alla settimana, seguendo le
indicazioni del suo confessore. Un giorno, sofferente per una gravissima
malattia, dovendo essere confortata dal sacro viatico delle eucaristia e
dall’estrema unzione dell’olio sacro, la sua completa mancanza di forze faceva
molto temere alle suore che spirasse lì per lì a causa dello spostamento del
corpo, perché avrebbero dovuto rialzarla un poco sul letto e sostenerla con le
mani per farle ricevere l’eucarestia; invece, appena apparve il santissimo
corpo di Cristo recato dal sacerdote, subito balzò giù dal letto
velocissimamente, anzi piuttosto ne volò via come un uccello senza l’aiuto di
nessuno, e si genuflesse sul pavimento della cella con somma meraviglia e
stupore di tutti; temevano infatti che potesse esalare l’ultimo respiro in
qualsiasi momento. Al contrario, si ristabilì ed ogni volta che, malata, si
rifocillava col pane celeste, sempre si rialzava dal letto e si prosternava a
terra, mostrando devozione, umiltà e un ferventissimo amore verso un sì grande
sacramento.
Non minore devozione e zelo nutriva per la passione del Signore e per il
giorno del venerdì nel quale la si commemora; infatti, in tal giorno
contemplava con mirabile attenzione e sentimento di pietà le ferite di Cristo
Signore (talvolta la contemplazione di una sola delle piaghe durava per cinque
ore), e ottenne da Dio una grazia che desiderava immensamente e che aveva
chiesto costantemente: poter morire un venerdì, giorno che coincise anche con
la festa di S. Caterina da Siena, di cui era ugualmente devotissima, e di cui
leggeva assiduamente la vita che cercava di imitare con impegno. Era solita
dire alla conversa, suor Lucia Di Pierantoni: Sorella mia, impara a servire
Dio perfettamente e ciò è tanto più facile, quanto più pensi e mediti la
passione di Cristo Signore; e questo può essere ottenuto senza alcuna fatica,
infatti i caratteri con i quali è stata scritta la passione di Cristo Signore,
cioè i chiodi, la lancia e gli altri strumenti della sua sofferenza sono
grandi e cubitali, e perciò possono essere letti e compresi senza molta fatica
ed impegno; e se li guardi con gli occhi del corpo solamente per poco, ciò
basta perché siano rimirati dagli occhi dello spirito che contempleranno
quotidianamente con devozione le ferite e i dolori di Cristo Signore. In tal
modo, in breve tempo otterrai non poca grazia di Dio ed avanzerai moltissimo
nell’esercizio della santità. Questo disse Margherita a Lucia. Riuscì a
persuadere anche le altre monache a praticare una contemplazione orante di
cinque ore della passione del Signore in tutti i venerdì della Quaresima e
dell’Avvento, devota regola che il monastero continuò ad osservare anche dopo
la sua morte. Per tutta la durata di quelle cinque ore Margherita rimaneva
immobile in ginocchio, talvolta prostrata faccia a terra, tanto che sembrava
più una statua insensibile che un corpo vivente. Una volta ella disse al suo
confessore, padre Priolo, che durante la meditazione della flagellazione di
Cristo Signore non poteva affatto passare alla meditazione del secondo colpo,
ed a lui che gliene chiedeva il motivo rispose che l’intensità del dolore la
faceva venire meno: a tal punto si immedesimava nella passione del Salvatore.
Un venerdì santo, desiderando ardentemente provare l’amarezza del fiele
insieme al Redentore crocifisso, ricevette sulla sua mano del fiele puro col
quale poter saziare quella sete di amarezza: Mi inebriò con l’assenzio (Lament.
3: 15). Del resto, in tutti gli altri venerdì dell’anno non assumeva
nient’altro che un pezzetto di pane, e dell’assenzio come cibo, e come bevanda
solo dell’aceto, come abbiamo già detto; anzi, nel periodo in cui fu a capo
del cenobio, sempre fece in modo che tutte le monache assaggiassero nei
venerdì almeno un po’ d’assenzio, in memoria della passione del Signore.
Quando terminava la suddetta meditazione di cinque ore nei venerdì di Avvento
e di Quaresima, Margherita si alzava dalla preghiera e andava a baciare
l’immagine del Crocifisso che, come si suol fare il venerdì santo, era stata
posta decorosamente per terra su cuscini e tappeti. Proprio questo crocifisso
fu visto più volte da un’altra monaca, Maria Orsola Loaldi, staccare le
braccia dalla croce per abbracciare Margherita, alla quale poi chiedeva di
crocifiggerlo nuovamente con gli stessi chiodi, così come stava prima.
Inoltre, prima di recarsi a recitare di notte l’ufficio mattutino nel coro,
leggeva dal Vangelo la passione del Signore. Quando invero saliva la scala
santa per devozione alla medesima vivificante Passione, andava su quasi
strisciando, a ginocchia nude e faccia a terra. E così dimostrava di avere
sempre presente nell’animo e nell’operare quel detto di Agostino (Enchir. 22 e
14): Tutta la mia speranza è nella morte del mio Signore: la sua morte è il
mio merito e il mio rifugio, mia salvezza, vita e resurrezione... Tutta la
speranza e la certezza di ogni fiducia io ripongo nel suo prezioso sangue, che
è stato sparso per noi e per la nostra salvezza.
Come pregava Essa non rivolgeva preghiere a Dio soltanto nelle ore canoniche, ma la sua preghiera era assidua e costante; infatti, dopo aver soddisfatto al dovere della divina salmodia nel coro, ritornando nella cella, non ne usciva mai, pregando ininterrottamente. Dopo i vespri rimaneva immobile a pregare in ginocchio fino al sopraggiungere della notte; di conseguenza, la sua assiduità nella preghiera le aveva appiattito le ginocchia a guisa di corona al cui centro si notava una rotondità gonfia di colore giallo e rosso. Talvolta, pregava stendendo le braccia a guisa di croce e con la faccia rivolta verso il basso, ma tuttavia in modo che non toccasse per niente terra con la faccia ma solo con le ginocchia, benché si tenesse con la faccia, le mani e le braccia a sole quattro dita da terra, ed in questa posizione talmente scomoda e talmente dolorosa perseverava virilmente, pregando per più ore e talvolta per mezza giornata. Ciò che appare oltrepassare le possibilità umane e le procurava grandissima ammirazione in tutti è il fatto che diventava talmente insensibile, come se fosse stata piantata per terra, da non riuscire ad udire la voce di nessuno e da non accorgersi se qualcuno la scuoteva tirandole la veste. Quando, invece, qualche altra monaca si provava a pregare nello stesso modo e con la stessa posizione del corpo non poteva continuarvi se non per breve tempo e tra grandi sofferenze. Si affrettava a recarsi nel coro, anticipando quasi di un’ora intera l’ufficio vespertino, e lì rimaneva in preghiera fino al tempo stabilito del canto comune. Un giorno, il padre confessore le chiese quanto tempo concedeva al sonno e lei rispose: per lo meno due ore; il resto del tempo lo dedicava interamente alla preghiera, né si perdeva mai in chiacchiere con le altre, né trascorreva neppure un momento senza far niente, anche solo per rilassarsi. La voce dello Sposo divino, invece, che risuonava incessantemente nel suo cuore, allontanandola da tutte le creature, la trascinava dietro a sé sulla scia dei suoi profumi.
Perciò le sue preghiere dispiacevano moltissimo ai demoni che usavano tutte le
armi per impedirle o per lo meno, creare distrazione; infatti un giorno,
mentre recitava devotamente proprio il Rosario della beatissima Vergine, un
diavolo invidioso e irato produsse alle sue spalle grida e fracasso grandi per
costringere Margherita a por fine alla preghiera o almeno ad interromperla; ma
lei, perseverando immobile ed impavida, continuò la preghiera vanificando il
piano del demonio. Al contrario, a Dio le preghiere di Margherita erano
gradite e accette, come è dimostrato da molti episodi: per esempio, Egli
rivelò ad una sua serva, la monaca Margherita Coccola del monastero di Santa
Monica delle stessa città di Ameria, che avrebbe tolto ogni ostacolo e
impedimento al conseguimento della sua perfetta unione con Dio e con la
grazia, scavalcando il muro delle sue mancanze e negligenze, per merito delle
preghiere di Margherita Corradi. Alle sue preghiere bisogna anche attribuire
l’episodio di un sacerdote che passò dalla sua precedente condotta sfrenata di
vita ad un’altra più corretta, divenendo da allora un modello di buone opere
per gli altri, ed anche l’episodio della guarigione prodigiosa da una malattia
mortale di suor M. Francesca Racani, parente di Margherita.
Questa assiduità nella preghiera generava naturalmente solitudine e distacco
da tutte le creature. Mai si recava nel parlatorio se non per un’urgente
necessità dei poveri o dei malati, che guariva miracolosamente ungendoli con
olio ed acqua benedetti, da lei chiamati di San Domenico. Continuò a recarsi
in parlatorio per tal motivo anche in età avanzatissima, mai da sola ma sempre
in compagnia di un’altra monaca, ed ivi trascorreva un’oretta a compiere
quell’ufficio di carità, finito il quale si ritirava immediatamente. Mai
gironzolava oziosamente per il monastero, mai era vista in qualche locale
comune che non fosse il coro, l’oratorio, il refettorio e il sanatorio; in
ogni altra circostanza stava sempre da sola e lontana dal contatto e dalle
conversazioni di tutti, sia in cella sia nel locale dell’organo sia nella
grotta dell’orto, dove si flagellava senza pietà, a porta chiusa. C’era nella
stesso monastero anche una sorella di Margherita, che al secolo si chiamava
Misia Corradi e da monaca Francesca; Margherita però era distante e separata
anche da sua sorella, perché sin dall’infanzia si era consacrata interamente a
Dio e soltanto con Lui era solita parlare lungamente nell’orazione; nel resto
non aveva alcun interesse, così che poteva dirsi di lei quello che una volta
aveva scritto san Gregorio Magno a proposito del Santissimo Padre Benedetto:
Solo con se stesso abitò sotto lo sguardo costante dell’Altissimo.
L’osservanza della povertà
Amò straodinariamente la povertà; infatti, non solo non ammise mai il
superfluo, ciò che invero non è consentito ad alcun monaco dal voto religioso,
ma non lasciò neppure presso di sé alcuna cosa da usare per le sue necessità,
cosicché andava elemosinando alle altre monache, ora ad una ora all’altra, ciò
di cui gli capitava di avere grandemente bisogno, come un fazzoletto, un velo
per il capo, e le altre vesti necessarie a coprire il corpo. Nella sua cella,
oltre ad una o due sedioline, un piccolo tavolino ed alcuni libri di argomento
spirituale, non si vedeva altro. La badessa aveva incaricato una monaca di
nome Susanna di provvedere e procurare a Margherita i veli, i fazzoletti, le
vesti e tutte le altre cose indispensabili in qualsiasi giorno della
settimana; Margherita, però, mal sopportava la diligenza e l’attenzione di
Susanna verso di lei, ritenendole un eccessivo cedimento alle comodità.
Inoltre, qualsiasi cosa guadagnasse col lavoro delle sue mani, lo impegnava
subito per l’utile del cenobio o per l’abbellimento della chiesa, non
trattenendo nulla per sé.
Del resto, nulla desiderava più ardentemente che vivere e morire seguendo lo
stile di vita comunitario nel quale, proprio come prescrive la Regola e come
era avvenuto nella Chiesa primitiva ed agli inizi di ogni Ordine religioso,
non deve esistere il tuo ed il mio ma ogni cosa è in comune ed a ciascuno
viene distribuito secondo i bisogni: l’esperienza di tutti i secoli dimostra
che questo modello di vita è gradito a Dio e pacificante per gli uomini.
Questo concetto lei instillava frequentemente nelle ragazze secolari, affinché
scegliessero per consacrare la loro vita a Dio un monastero dove fosse
osservata la vita comunitaria; e così, dando retta ai suoi avvertimenti, Maria
Venturelli, nobile di Ameria, uscì dal monastero di S. Caterina dove era stata
educata e volle diventare monaca in quello di S. Giovanni Evangelista, nel
quale la vita comunitaria, allora come adesso, era in vigore.
Margherita, benché non conservasse neppure un ago come possesso personale e
tutto il necessario, come abbiamo detto, elemosinasse alle altre di volta in
volta, quando le altre le dicevano che lei viveva nella vera povertà e
nell’autentica vita comune, non diceva motto ma, turandosi il naso con le
dita, faceva cenno che non di meno avvertiva in quel luogo con sicurezza una
certa puzza di proprietà privata.
Anche l’ardente desiderio di salvaguardare l’onore divino e la perfezione
monastica si manifestò con molti e notevoli esempi di simile fervore. Durante
uno dei mandati abbaziali di Margherita, alcune monache avevano litigato tra
loro durante una supplica solenne con grave turbamento e scandalo delle altre.
Lei allora le rimproverò aspramente nell’aula delle riunioni dove le monache,
secondo il costume di tutti i cenobiti, sogliono confessare le proprie colpe
davanti a tutti, poi le costrinse a togliersi i calzari dai piedi e di deporre
il velo dal capo; fatto questo, una di loro, seguita dalle altre due, dovette
tenere alta con le mani l’immagine del Crocifisso, mentre tutte insieme
dovevano ripetere l’intera supplica con la recitazione del miserere, in modo
che fosse restituito all’immagine del Salvatore crocifisso il rispetto di cui
avevano avuto così poca considerazione e fosse tolto lo scandalo dai cuori
delle monache. Ed esse ottennero il perdono, eseguendo ciò che era stato loro
richiesto senza alcuna esitazione. Un’altra volta, ancora durante uno dei suoi
governi, poiché alcune monache erano ostili reciprocamente, seminavano la
discordia e recavano molestia alle altre, Margherita comandò che fosse subito
approntato e ripulito il carcere, affinché capissero che ve le avrebbe
rinchiuse se non si fossero fermate. Esse, spaventate, non litigarono mai più
tra loro. Si infiammò di zelo per la casa d’Israele.
Sapeva obbedire prontamente e velocemente non meno di quanto era capace di
comandare saviamente. Farò dunque conoscere questo solo mirabile esempio di
obbedienza: vigeva in quel cenobio un antico costume vincolante per tutte di
digiunare con soli pane ed acqua nella vigilia di S. Firmina, patrona e
protettrice d’Ameria, che cadeva lo stesso giorno di S. Caterina vergine e
martire, protettrice del cenobio stesso. Margherita, nonostante si avvicinasse
l’ora di mangiare il pane, si era del tutto dimenticata del cibo corporale,
tanto era dedita alla divina contemplazione. Quand’ecco, una monaca
(probabilmente la badessa) che aveva sbucciato una pera cotta affinché
Margherita la recasse da mangiare ad una malata, le chiese perché non aveva
mangiato la razione autorizzata di pane; lei allora, celando umilmente la sua
virtù, rispose con semplicità: Mi sembra di non poter deglutire affatto il
pane. A questa risposta, l’altra monaca, pensando che ciò dipendesse da nausea
e da indisposizione di stomaco, tagliò in due quella pera e ne offerse metà a
Margherita, dicendo: Prendila e mangiala col pane; lei allora, senza
esitazione, e non considerando assolutamente il digiuno da lei stabilito,
subito prese a mangiare quella pera, ma al primo morso, provò un sapore di
tale insolita dolcezza che non poteva paragonarsi a quello di nessun altro
cibo creato. Mentre lei si chiedeva stupefatta cosa potesse essere e da dove
provenissero quella dolcezza e quel piacere, sentì nel profondo del cuore una
voce che le diceva: Questi sono i frutti dolcissimi dell’obbedienza.
A queste virtù, che sembrano appartenere maggiormente alla prudenza del
serpente, univa anche la semplicità della colomba, che di tutte è il decoro e
l’ornamento. Era talmente radicata nel suo cuore che la portava a mettere
tutti gli altri sul suo stesso piano, anzi li stimava molto migliori di sé ed
era assolutamente persuasa che anche le altre monache avessero le sue stesse
visioni, in particolare quando vedeva in chiesa o nell’oratorio gli angeli o i
santi. Infatti, quando raccontava agli altri delle visioni, delle grazie e
degli insigni doni a lei concessi dal Padre della luce, non si rendeva affatto
conto che non erano delle cose note e sperimentate da loro. Quando ne parlava,
tuttavia, improvvisamente si interrompeva, volgendosi ad altro discorso,
evitando prudentemente che fossero conosciute dagli altri le rivelazioni a lei
dirette. Si è pensato, dunque, che Dio stesso l’avesse spinta ed esortata più
volte a parlare di queste cose per rendere noto di quanti doni era stata
colmata e per proporre all’imitazione degli altri i suoi esempi di penitenza e
di opere buone. Certamente, questa sua costante semplicità d’anima e di cuore
le fece meritare il colloquio con Dio: infatti la sua conversazione è con i
semplici.
Estasi ed illuminazioni
Dio le concesse moltissimi colloqui con estasi e rapimenti fuori dal corpo,
confermando in tal modo la totale inadeguatezza dei sensi corporei alle cose
divine. Le estasi e i rapimenti erano molto frequenti ed accadevano anche più
di una volta al giorno. Maria Giacinta Venturelli, monaca nello stesso
cenobio, vide a volte Margherita in preghiera molto a lungo con le braccia
aperte in una cappella situata in un piccolo orto, mentre non toccava il suolo
con nessuna parte del corpo, e dopo averla guardata per molto tempo
meravigliata rimanere così, temendo che Margherita tornasse in sé e,
riconoscendola, ne avesse a dolersi, se ne andava in silenzio, lasciandola
come l’aveva trovata. Anche la suora Maria Orsola Lualdi vide nottetempo
Margherita immersa in preghiera nell’oratorio davanti all’immagine del
Santissimo Crocifisso sempre a braccia distese, a non poca altezza da terra.
Spaventata a quella vista, si ritrasse in silenzio, affrettandosi verso
l’uscita, ma poi la vide uscire non dall’oratorio dove l’aveva lasciata in
estasi, ma dal locale dell’organo, che da quello è molto distante; ciò
produsse grande ammirazione e stupore in Orsola che da allora venerò con
fervore sempre maggiore la santità di Margherita. Talvolta, quando era
impegnata in qualche lavoro manuale, era vista improvvisamente immobilizzarsi
completamente con gli occhi fissi al cielo e non continuava il suo lavoro né
rispondeva se qualcuno le rivolgeva parola per tutto il tempo che perdurava in
quello stato. Quando poi, dopo lungo tempo, ritornava in sé, diceva alle
consorelle: Ora vediamo chi di noi, intanto, ha fatto più lavoro. Era evidente
che lei si era molto meno applicata delle altre lavoranti e nondimeno il suo
lavoro appariva di gran lunga più progredito di quello delle altre, sebbene
esse vi si fossero dedicate costantemente e senza interruzione. Dio, infatti,
guidava certamente la mano di Margherita e benediceva l’opera delle sue mani,
affinché andasse avanti e superasse di molto i lavori delle altre.
Resti della "cappella situata in un piccolo orto" fotografati il 10 febbraio 1982, a confine con il Vicolo del Forno (F. Della Rosa)
8 luglio 2013 Catasto "Gregoriano" Catasto edilizio urbano
Una mattina in cui aveva ricevuto il Santissimo Corpo di Cristo, si era
ritirata nella cella per rendere grazie; poco dopo, la sullodata Orsola Loaldi,
che la chiamava per andare nel coro per l’ufficio di nona, la vide col volto
talmente bello e rubicondo che non si sarebbe per niente riconosciuta per
quella di prima. E così Orsola, ritenendo che Margherita fosse in estasi e non
padrona di se stessa, l’accompagnò fino al coro, sorreggendola con le mani:
non poteva camminare agevolmente e velocemente, perché minacciava di cadere ad
ogni gradino che portava al coro, come se non li avesse mai saliti, e quel
rossore di fiamma del volto le rimase per tutta l’ora nona.
Talvolta, sempre camminando con l’aiuto della stessa Loaldi, improvvisamente
si staccava da lei e si precipitava lontano con grande impeto e a tale
velocità che, invece di camminare, si sarebbe detta fornita di ali; poi si
fermava di botto, si inginocchiava e si prostrava con la faccia e le mani a
terra; si credeva allora che lei vedesse e adorasse Dio, e da Lui ricevesse in
cuore una grandissima gioia che comunicava agli osservatori.
Talvolta, trovandosi in mezzo alle monache, in un baleno spariva ai loro occhi
e poi, dopo essere scomparsa, ricompariva inaspettatamente senza che si
potesse scoprire da dove venisse. In un’altra circostanza, mentre era oggetto
di avversioni e di persecuzioni, fu vista dalla stessa Orsola e da sua
sorella, Agata Loaldi, essere trasportata in alto per aria e ricondotta a
grandissima velocità nella sua cella.
Un sabato santo, lei invitò la stessa Orsola a cominciare la vigilia molto
prima dell’alba e così meritare di vedere insieme il Re della gloria risorto
dai morti; e quando l’ebbero finita, Margherita disse: Andiamo, andiamo a
vedere il trionfo del Redentore. Portatesi dunque in chiesa a pregare, Orsola
vide Margherita con le braccia spalancate, levarsi a più di un palmo da terra,
e poco dopo la udì dire a se stessa: Presto! Andiamo, andiamo a suonare
l’organo, Cristo è ormai risorto. Lei allora muoveva i mantici, mentre Orsola
stava alla tastiera. Le altre monache, al suono dell’organo in un’ora così
inusitata, mentre ancora era buio fitto, si meravigliarono moltissimo.
Un’altra volta ancora, sempre nelle prime ore del mattino di Pasqua, avvertì
lei sola un forte terremoto mentre stava pregando nel locale dell’organo;
subito ne uscì, chiamando una monaca per suonare l’organo, e lei come la volta
precedente, muoveva su e giù i mantici, mentre il suo volto era soffuso di
grande pallore, come se fosse in estasi. Però, poco dopo, il suo volto si fece
gioioso, e perciò si credette che avesse visto nuovamente in quel preciso
momento il Cristo risorto.
Un anno, il due novembre, giorno in cui si celebra il ricordo di tutti i defunti, desiderava ricevere la santissima eucarestia che aveva preso anche il giorno precedente, festa di tutti i santi, ma ne era trattenuta dal timore e dal rispetto; diceva, infatti, tra sé: E’ sconveniente che Dio riceva ospitalità troppo spesso nel cuore, ma subito udì questa voce: Sono Dio e vengo ugualmente e immediatamente fu sollevata per aria, investita da incontenibile gioia spirituale, ricolma delle delizie del divino amore. D’altronde, sempre pù¹ spesso le monache la videro levitare da terra per lungo tempo, specialmente nei giorni delle feste più importanti. Nella festività della Ss. Trinità del 1661, che in quell’anno cadeva il 12 giugno, ricevette il Corpo di Cristo con ineffabile giubilo della sua anima, e mentre stava pregando insieme alle altre, fu sollevata per aria tre volte e poi, rimasta per tutto il giorno nella cella come priva di sensi e fuori di sé, vide e udì cose talmente grandi che non possono essere comprese dalla mente degli uomini, né espresse dalla loro lingua: apprese così che il più eccellente modo di lodare Dio era invocarlo per mezzo del suo meraviglioso trono, e poté vedere l’inconoscibile maestà divina seduta su di un soglio eccelso ed elevato, disponibilissima a distribuire in quel giorno grazie e doni agli uomini alla sola condizione che li chiedessero con cuore umile e pentito. Allora Margherita, approfittando di un’occasione talmente propizia, raccomandò a Dio una persona a lui nota e cara, affinché lo accettasse nel numero dei suoi servi, e subito ricevette questa risposta: Conviene che anch’egli si sforzi per quanto gli è possibile, per meritare una grazia così grande.
Nello stesso anno 1661, domenica 18 dicembre, avendo gustato il divinissimo
alimento dell’eucarestia, fu ripiena di tale gaudio interno e di tale
esultanza spirituale da non poterla in nessun modo contenere dentro di sé e
per tutto il giorno si sentì levitare da terra e rapire fuori dai sensi e
fuori di sé. Ciò gli capitava sempre più spesso, specialmente in quei giorni
in cui era ammessa alla sacra mensa; allora, tutta immersa in Dio e come in
Lui trasfusa, godeva d’ineffabile esultanza spirituale e veniva messa a parte
di molti e grandi misteri celesti, che non poteva in alcun modo comunicare
agli uomini: infatti, non è concesso parlarne.
Dio le rivelò non solamente in queste fuoriuscite dal corpo, ma anche in altre
occasioni, molti segreti attinenti sia i misteri della fede sia le vicende
umane. La serva di Dio sapeva benissimo che si deve celare il mistero del Re e
perciò con la più grande cura taceva dei segreti celesti che le venivano
comunicati; questa è la ragione per cui noi ignoriamo cosa Dio le abbia
trasmesso in tante rivelazioni; nondimeno, talvolta vi fosse stata indotta
dalla sua semplicità o fosse stata ingannata dal timore di sbagliare o dal
dubbio od anche nell’intenzione di aiutare il prossimo, comunicò agli altri
qualche piccola confidenza sulle molte rivelazioni che aveva ricevuto dal
Padre dei lumi. Al suo confessore padre Priolo disse una volta che i Magi,
giunti nella stalla di Betlemme per adorare il Bambino Gesù, non avevano
aperto bocca davanti alla Vergine Madre di Dio, che aveva suscitato in loro
una grandissima ammirazione e, non avendo trovato una formula di saluto
adeguata ai suoi meriti, avevano testimoniato con il silenzio e con lo stupore
la somma venerazione che provavano nei suoi riguardi. Ella diceva che gli
evangelisti avevano trattato molto sobriamente la passione del Salvatore ed
avevano discorso di Lui in modo abbastanza stringato; in seguito compose un
sermone teologico bellissimo e sublime sulla divinità, l’essenza e la Trinità
delle Persone divine, sulla generazione del Verbo e sulla spirazione dello
Spirito Santo (al punto che lo stesso confessore non era in grado di
riconoscere se vi fosse qualche errore nelle cose che lei diceva), usando
vocaboli tecnici ed adeguati, tipici della teologia scolastica, come se fosse
stata per anni docente di sacra teologia, ed era anche solita esclamare a più
riprese: O buon Gesù, sostanza del Padre, o buon Gesù, sostanza del Padre.
Il giorno 8 settembre, in cui si celebra la natività della Beatissima Maria
Vergine, mentre Margherita meditava sulla incomprensibile grandezza e sulle
inestimabili prerogative della Madre di Dio, si sentì dire: In questo stesso
giorno i fedeli potranno ottenere tutte le grazie e i doni che avranno chiesto
devotamente; non c’è, infatti, altro giorno in cui in Cielo si concedono
maggiori grazie; ed ella con sua grande gioia poté anche comprendere, sempre
per quanto è possibile, il numero dei privilegi e l’entità del rango della
stessa Beatissima Vergine. Ancora, un 25 novembre le apparve S. Caterina
vergine e martire, accompagnata da un candido e numeroso stuolo di sante
vergini e Margherita chiese alle altre monache se anch’esse vedessero la santa
patrona. Mentre si trovava in cella a pregare, le fu mostrata in maniera
evidentissima la bellezza, lo splendore e la dignità dell’anima, ed al
contrario, l’impurità, la deformità e la repellenza del corpo, verso il quale
da allora concepì un odio che non venne mai meno, ma che anzi conservò fino
alla morte, tormentandolo con quelle asprissime penitenze che abbiamo già
descritto.
Quando era all’età di circa cinquant’anni, mentre stava come d’abitudine nel
locale dell’organo a pregare, le apparve un giovane bellissimo e splendente di
luce che la condusse nell’abside della chiesa dove le monache ricevono la
comunione, e che le disse: Rimani qui e vedrai cose stupende e meravigliose.
La porta della chiesa, allora, si aprì senza la spinta di alcuno e vide tanti
bellissimi giovani, composti in una schiera a due a due a guisa di
processione, partire dalla cattedrale di S. Firmina e, passando di fronte alla
porta aperta della chiesa dove stava Margherita, dirigersi verso l’altra
chiesa delle monache, quella di S. Giovanni, non molto distante da lì. Due di
quei giovani, che recavano nelle mani una cassetta non proprio piccola, giunti
che furono davanti alla porta di Margherita si fermarono e aprendo la
cassetta, n’estrassero un panno purpureo ripiegato, e con l’aiuto degli altri
due giovani che stavano dietro loro, lo aprirono e lo distesero. Si vide,
allora, che una metà era intessuta con stupenda arte orientale (anzi angelica)
d’oro e di gemme, l’altra era grezza, senza alcun notevole ornamento; poi,
dopo che il panno fu ripiegato come prima e ricollocato nella cassetta, la
processione sparì e la porta della chiesa si richiuse. Margherita, allora,
riprendendo a pregare nel locale dell’organo, chiese ardentemente di poter
comprendere il significato di quella mirabile visione. Comprese, quindi, che
il panno era il simbolo della sua stessa vita giunta all’età di mezzo, e che
la prima parte decorata a ricamo simboleggiava la vita già trascorsa, e l’oro
e le gemme che vi erano applicate rappresentavano le opere di pietà e gli atti
virtuosi. Era necessario, però, completare quella tessitura, cioè portare a
termine la propria esistenza sempre con le stesse buone opere. Dio la
illuminava con queste ed altre visioni e rivelazioni per aiutarla a proseguire
in quello stile di vita che si era scelto, così aspro e duro.
Un’altra volta vide una mano destra bellissima e graziosissima strappargli il
cuore dal petto, senza il quale visse per qualche tempo, come si dirà più
avanti. Moltissime volte, quando si celebrava in chiesa il sacrosanto
sacrificio della messa o i divini uffici nel coro, scorgeva nella chiesa
schiere d’angeli e di santi, e diceva alle altre monache, pensando che anche
le altre come lei le vedessero: Distinguete ora questa moltitudine e questa
folla? Vedete come sono nobili e belli? Mentre pregava nel locale dell’organo
il 20 luglio, giorno di S. Margherita vergine e martire, festa che lei
celebrava con particolare devozione, e faceva offrire molte messe in suo
onore, vide una persona bellissima, piena d’ineffabile maestà , che emanava un
abbagliante splendore, la quale la condusse in un ridente giardino; in seguito
nulla riuscì a dire mai della maestà, della bellezza e dello splendore di
quella persona, ma espresse solamente più volte atteggiamenti di muto stupore
e meraviglia: uscì da quel colloquio e da quella visione talmente luminosa e
splendente che le altre monache non poterono fissare lo sguardo sul suo viso,
mentre usciva dal locale dell’organo.
In un’altra occasione, mentre pregava Dio per un sacerdote di cui si prendeva cura con spirituale carità, che lo rendesse un suo vero e gradito servitore e lo liberasse da ogni male e pericolo, ricevette da Dio tale risposta: Può essere mio servo verace solo colui che volontariamente soffre persecuzioni a causa mia, tollerando con animo paziente le avversità e compiendo opere buone. Parlando con un padre spirituale d’eccellente dottrina, diceva fra sé: Questo padre è dottissimo, e subito sentì in cuore questa risposta: Senz’altro, ma deve ancora conoscere la prima lettera dell’alfabeto; interpretando lei stessa ottimamente questa frase, spiegò allo stesso padre che la prima lettera dell’alfabeto era l’Amore di Dio. Poiché le monache avevano fatto su suo ordine la comunione generale al Corpo del Signore in favore dell’anima di una Clementini, nobile amerina, la quale aveva fornito il convento di rendite annue e si era raccomandata alle preghiere di Margherita, un giorno la stessa signora le apparve, rivestita di un mantello nero, col capo coperto da un velo azzurro, e le disse: Ora salgo al Cielo e ti ringrazio moltissimo per le preghiere e le sacre comunioni che, per opera tua, sono state offerte in mio favore. Vide anche l’anima di suor Giovanna di Chiaravalle su di un carro di fuoco, tre giorni dopo la sua morte, ma comprese che ella aveva ottenuto l’eterna salvezza per lo zelo e la diligenza con cui in vita aveva assolto il dovere della lode corale, esempio da notare ed imitare per tutto il clero regolare e secolare.
Quando morì una monaca in ancor giovane età di nome Maria Agnese,
dell’illustre famiglia Cansacchi, che usava portare sotto lo scapolare, come
altre monache del resto nello stesso convento, non solo la tunica monastica
che copre tutto il corpo, ma un più stretto corpetto femminile a guisa delle
donne del mondo, seppure di colore nero, Margherita vide il corpo di lei
esposto sopra il feretro per i funerali che veniva più volte sollevato da
terra dai diavoli, che poi lo rimettevano a posto. Questa visione essa la
rivelò ad altre due monache: Maria Florida Carleni, nobile d’Ameria e suor
Cecilia, e fu il motivo che la spinse a persuadere con energia e dolcezza le
altre monache a non indossare più per l’avvenire simili corpetti ma la tunica
prescritta da sola, come fino ad oggi in quel cenobio (e volesse il Cielo che
fosse così dappertutto) viene osservato con scrupolo. Si crede che in quella
circostanza Dio, che si era mostrato indignato contro quelle monache che
facevano uso di abiti vanitosi e mondani, fosse placato alla fine dalle
preghiere di Margherita. Questo è un serio avvertimento non solo per le
monache ma anche per tutti i religiosi su quanto sia per loro sconveniente e
quanto dispiaccia a Dio qualsiasi vanità nel vestire e l’imitazione e il
conformarsi all’abito di coloro che vivono nel mondo. Anche tutte le altre
vanità che richiamano mode e usi del mondo e delle persone mondane rendono i
religiosi al tempo stesso per metà laici e per metà chierici, anzi per meglio
dire, né chierici né laici ma li deformano in una specie di chimere e d’ircocervi,
come una volta S. Bernardo per umiltà disse di se stesso: Io sono una chimera
del mio secolo, non vivo né da monaco né da laico, ma che molti uomini di vita
consacrata ritornati alle vanità ed alle opere egiziane dovrebbero molto più
giustamente attribuire a loro stessi.
Mentre rivestiva la carica di badessa, ordinò ad una monaca, non so per quale
leggerezza, di mangiare soltanto pane ed acqua seduta per terra. Quella
dapprima si rifiutò e non volle obbedire. Ma poi, al sopraggiungere della
notte, seguendo miglior consiglio, di sua spontanea volontà si sottomise alla
penitenza assegnatale; allora Margherita disse di aver visto sulle spalle
della stessa monaca un diavolo che la istigava a non compiere la penitenza
richiesta, il quale poi, una volta che era stato vinto dall’obbedienza, se
n’era andato via confuso. Una volta vide davanti alle porte del monastero un
uomo piuttosto deforme e miserabile che mangiava a guisa delle bestie,
leccando ogni genere d’immondizia. Dopo aver pregato per comprendere il
significato di tale scena, le fu rivelato che quell’uomo così infelice era il
simbolo del peccatore dedito ai vizi e da essi abbrutito e degradato. Quando
le monache se n’andavano da questa vita, lei moltissime volte vide le loro
anime volare in Cielo. Una fu quella della suora conversa Caterina Gertrude
che nel 1665 vide ascendere ai Cieli circonfusa di splendore, mentre si
svolgevano i funerali. Vide anche l’anima di una fanciulla secolare della
nobile famiglia Geraldini, morta nella casa dei genitori, la cui zia era
monaca nel convento di S. Caterina col nome di suor Susanna. Essa era
rivestita di una veste bianca, ma senza oro od altro ornamento; avendo
Margherita domandato a Dio il significato di questo particolare, le fu
risposto: Ha il candore dell’innocenza ma non l’oro delle opere.
In un’altra occasione, mentre era impegnata a pregare nel locale dell’organo,
com’era suo costume, e stava per buttarsi a terra per dare un po’ di riposo
alle stanche membra, le apparvero due bellissimi giovani con in mano delle
torce accese, e la condussero davanti alla porta del parlatorio,
gliel’aprirono e lei poté vedere una lunghissima processione di tantissime
persone: sacerdoti, monache, laici che, come le fu detto, erano le anime
strappate proprio allora alle fiamme punitrici e dirette in Cielo, e che esse
erano proprio quelle per le quali lei aveva poco prima pregato. Infatti, lei
aveva un grandissimo desiderio di giovare alle anime trattenute in Purgatorio,
per loro offrendo a Dio non solo preghiere ma anche le sofferenze del proprio
corpo. Margherita, lietissima per una così bella visione, scacciato il sonno,
riprese con maggior fervore a pregare e continuò fino a che si fece giorno.
Una volta, mentre tutte le monache erano nel coro, suor Cherubina, parente di
Margherita e confidente di molti suoi discorsi e pensieri, esclamò
improvvisamente: Gioite o madri, perché oggi Salomone è stato ammesso in
Cielo, frase che ripeté spesso. Dal momento che Cherubina si trovava accanto a
Margherita, le monache intuirono che una così importante rivelazione le era
stata trasmessa proprio da lei. A questo proposito, nel Supplemento alla
Biblioteca Manuale del P. Tobia Lohner gesuita, tit. 121, p. 415, n. 25, ed.
Hertz, Venezia 1722, alla voce Purgatorio si trovano queste parole: A Roma un
predicatore insigne ha affermato nel corso di una predica che ad una santa
persona qualche tempo prima era stato rivelato che Salomone aveva subito le
dure pene del purgatorio fino ai tempi nostri, quando gli è stato concesso di
salire al Cielo. Salomone sarebbe dunque stato in purgatorio duemilaseicento
anni, dal momento che secondo Saliano egli morì nell’anno della fondazione del
mondo 3059, cioè nel 994 a. C. (Citazione da P. Cornelio de Lapidi, nel I lib.
Reg: Cap. 11).
A queste visioni e rivelazioni il Signore amorosissimo aggiunse grazie e
favori non meno importanti e stupendi. Tra i principali era quello di avere
sempre visibile il suo bellissimo angelo custode il quale, quanto più
Margherita si dedicava agli esercizi spirituali ed alle opere buone, tanto più
dava segno di gioirne e di esultarne; privilegio che ebbe in comune con S.
Cecilia, S. Francesca Romana ed altri santi che come lei furono da Dio
ritenuti degni di un tale dono.
Ottenne anche da Dio la particolare grazia di poter avere notizia di qualunque
cosa volesse, sia in ambito umano sia in quello divino, come dimostra
chiaramente quest’episodio: nell’anno del giubileo 1650, un uomo che
desiderava ardentemente avere la certezza che Dio gli aveva perdonato i suoi
peccati e si era raccomandato alle preghiere di Margherita per saperlo,
ottenne questa risposta: Ho perdonato Pietro, dalla quale si poteva dedurre
che Dio aveva risparmiato anche quell’uomo.
Ogni volta che partecipava alla santissima mensa eucaristica è impossibile
dire quante carezze, quanti abbracci, quanti baci nell’anima, quanta esultanza
nella mente, quanta gioia nel cuore e, per finire, quanti carismi ricevesse
dal celeste Sposo: lei stessa non ne era in grado. Altre volte, il corpo
eucaristico di Cristo Signore infondeva al suo gusto corporeo e a tutti gli
altri sensi una tale ineffabile dolcezza, superiore a quella del miele, da non
trovare paragoni con qualsiasi altra sostanza creata e da non potersi
esprimere a parole.
Una notte le apparve Cristo Gesù come viene rappresentato quando risorge dai
morti, e lei, avendo fissato per tre volte gli occhi di Lui, pieni di
benevolenza ed irradianti dappertutto il fuoco del divino amore, subito ferita
da quella sua intima carità, fu presa allora da un violentissimo incendio
d’amore soprannaturale che infiammava anche il corpo a tal punto che, non
potendo più sopportarlo, fu costretta nel pieno del più rigido inverno a
mettere la testa fuori della finestra in cerca di refrigerio e, non bastando
ciò a mitigare il calore generato, uscì dalla cella e si buttò all’aperto
sulla neve che cadeva, rimanendovi per molto tempo. Ma quale neve, quale
ghiaccio potrebbe moderare la fiamma mandata dal Cielo? Non sorprende affatto
che, per aver tanto fatto e sofferto quotidianamente per l’Amato dell’anima
sua, fosse stata da Lui introdotta nella cantina del suo amore e che un’ardentissima
carità avesse preso dimora nel suo cuore. Quest’amore, infatti, che secondo la
testimonianza di S. Agostino, arrossisce della parola «difficoltà», accresceva
anche le sue forze fisiche e la sua energia: perciò era lontanissima dal
sentirsi debilitata, nonostante le così aspre penitenze, i così stretti
digiuni, le flagellazioni così cruente protratte fino alla vecchiaia, anzi
continuava a godere della stessa robustezza della sua gioventù. Tutto poteva
in Colui che la confortava con il fuoco soavissimo del suo amore ad affrontare
vigorosamente ogni dura prova.
Ogni volta che proferiva con la sua bocca il nome dolcissimo di Gesù, sentiva
dentro di sé lo stesso nome ripetuto subito e distintamente come se il cuore
fosse stato una caverna con l’eco: quel vocabolo ineffabile, infatti, attraeva
a sé tutti gli affetti del suo cuore e tutte le attività della sua coscienza a
guisa di centro magnetico. Allora l’amorosissimo Gesù abbracciava con immensa
tenerezza la sua anima e le trasmetteva gioia ed ineffabile esultanza,
lasciandola in quella celeste tranquillità, in quella purezza e castità che
grandemente si addicono allo Sposo delle Vergini. Se capitava che lei
pronunciasse il santissimo nome di Gesù più debolmente e senza l’usuale
attenzione ed energia, gli effetti sopra descritti non si verificavano quasi
per niente, a meno che non vi ponesse rimedio ripetendo due o tre volte lo
stesso nome con maggiore concentrazione ed energia.
Nel 1664, dopo aver ricevuto il santissimo corpo di Cristo, stava applicando
il suo spirito alla contemplazione di Dio per unirsi a Lui con maggiore
fervore del solito, quando udì una voce che le diceva: Non è necessario che tu
fatichi tanto per trovarmi; sono infatti vicino a te, sono con te, risiedo nel
tuo cuore dove trovo riposo. Il 10 agosto del 1660, festa di S. Lorenzo
martire, dopo aver assunto il sacramento pegno della salvezza eterna,
infiammata di divino amore, disse a Dio in cuor suo: O Signore, quanto mi ami?
e subito udì una voce che le rispondeva: Ti amo e ti amerò sempre.
Un’altra volta, mentre un sacerdote stava ripetendo durante la messa le parole
Signore non sono degno, Margherita diceva dentro di sé con gran trasporto di
cuore: Anch’io sono del tutto indegna; al termine di queste parole la
sacrosanta ostia dell’eucarestia le fu portata da una mano invisibile e lei,
ricevendola con la massima devozione, fu riempita d’inimmaginabile gioia e di
consolazione.
Durante una messa che Giulio Geraldino, arcidiacono della cattedrale e
confessore del monastero di S. Caterina, stava celebrando davanti alle
monache, una delle particole in cui era stata divisa la santissima ostia dell’eucarestia
alla fine della consacrazione fu vista fuoriuscire dalla patena, sollevarsi un
poco in aria per poi salire verso l’organo dove Margherita pregava ed
introdursi nella sua bocca. Giulio fu talmente stupito e ammirato da questa
visione che a stento fu in grado di terminare la messa; da allora gli rimase
l’abitudine, al momento della frazione dell’ostia, di volgere lo sguardo in
direzione dell’organo per vedere se la particola dell’ostia vi si dirigesse in
volo. E’ accertato che anche in altre occasioni fu vista la particola della
santissima ostia allontanarsi dall’altare e dirigersi verso il luogo dove
Margherita pregava, fosse l’organo o l’abside, ed entrare nella sua bocca. Ciò
avvenne nella maniera più manifesta e clamorosa una mattina, mentre il
confessore padre Priolo, uomo di costumi integerrimi e di specchiata vita,
amministrava la sacra eucarestia alle monache: in quel momento, infatti, la
fanciulla Maddalena Venturelli insieme ad altre monache vide la particola
della santa ostia, circonfusa di grande splendore ed emanante dei fulgidissimi
raggi, volare attraverso l’abside della chiesa, raggiungere il presbiterio ed
introdursi nella bocca di Margherita. E quando Margherita aprì la bocca per
ricevere il santissimo Corpo di Cristo, si vide come se un sole sorgesse e
riempisse di luce chiarissima quel luogo.
Un’altra volta, mentre celebrava la messa il sullodato padre Priolo, dopo
l’elevazione dell’ostia, Margherita balzò fuori improvvisamente dall’organo e
cominciò a correre velocemente, tanto da far dire a qualche altra: Vedete come
è impazzita, né si vergogna di comportarsi così insensatamente. Invece lei, si
era diretta con decisione verso la ruota che stava in chiesa, dove trovò una
particola della sacra ostia che risplendeva grandemente, e che fu vista anche
da suor Cecilia, la custode del presbiterio di allora. Infilata, perciò, la
testa all’interno della ruota, aprì la bocca e, assunto con riverenza il
santissimo corpo di Cristo, ritornò presso l’organo. In quel giorno si nascose
e non parlò con nessuno se non con Dio, che teneva così stretto nel suo cuore
da non permetterGli quasi di andare via.
Un giorno, mentre stava recitando le lezioni dell’ufficio nel Coro, Domitilla
Nacci, nobile d’Ameria e monaca in quel convento, vide sul dito anulare
sinistro di Margherita un anello d’oro di mirabile splendore che con la sua
luce obbligò Domitilla a socchiudere gli occhi per tutta la durata della
lettura di Margherita.
In un’altra occasione, mentre saliva ginocchioni la scala santa che si trova
nel convento, a metà ascesa le apparve Cristo Signore che portava sulle spalle
la croce e al quale, mossa da un sentimento di compassione, disse: O Signore,
sono stata io con i miei peccati ad imporre questa croce sulle tue spalle.
Inoltre, poiché era dotata di un grandissimo sentimento di carità verso i
poveri e i malati, a loro beneficio ottenne anche questa grazia
dall’Elargitore di tutti i beni: ella collocava all’aperto molti vasetti nei
quali il Cielo versava in determinate ore un liquido che Margherita
diligentemente raccoglieva e conservava per offrirlo come unzione ai malati,
che venivano guariti tutti, qualunque malattia avessero.
Ma fra tutte le manifestazioni di grande amore di cui l’amorosissimo Sposo
delle anime la fece segno, ve ne fu una straordinaria, meravigliosa e di là
della portata dell’intelletto umano, opera esclusiva del sommo Creatore della
natura ed Arbitro di tutte le cose: Cristo Signore, mentre lei era ancora in
vita, le asportò con la sua destra onnipotente il cuore dal petto e lo
trattenne con sé per la durata di otto interi giorni, al termine dei quali lo
restituì a Margherita e lo rimise al suo posto. Come doveva quel cuore essere
puro, innocente, infiammato di amore celeste! In quel periodo che per opera
della divina potenza non ebbe il cuore, o piuttosto lo tenne nelle mani del
Signore, disse ripetutamente a suor Cherubina: Qualcuno potrebbe vivere senza
cuore? E mentre quella rispondeva con un risoluto no, Margherita soggiungeva:
Eppure senza cuore si vive. Sentiva in quella parte del petto dove era stato
asportato il cuore una calore elevatissimo come di fornace dove, anche dopo il
ritorno del cuore nel lato sinistro del petto, rimase una cicatrice rossa e
sanguinante, però non dolorosa, simile alle stimmate di S. Francesco,
splendida e bellissima, come la vide la stupefatta suor Orsola Loaldi, che
abbiamo già citato molte volte.
Il suo spirito profetico
Questi doni il Signore coronò con lo Spirito di profezia. Una sera di
domenica, essendosi coricata sua sorella Francesca Corradi per una leggera
indisposizione, subito Margherita accorse e disse alle monache che facessero
venire senza indugio il confessore, perché sua sorella era ormai alla fine e
in poco tempo sarebbe morta. Quell’ammonimento parve prematuro, né le monache
né la malata stessa vi credevano affatto: la malattia non sembrava per niente
grave dal momento che si notava solamente una leggera influenza. Fu chiamato
non di meno il confessore, al quale Francesca fece una confessione completa,
accuratissima e sincera. Margherita, tuttavia, premeva affinché gli altri
sacramenti fossero somministrati senza indugio, perché, diceva, la morte si
avvicinava a grandi tappe ed era ormai alle porte; e così stavano veramente le
cose. Infatti, il terzo giorno dall’inizio della malattia, il giovedì, la
sorella esalò l’anima a Dio.
Predisse che Egidio Delfini, un laico che non aveva mai visto in precedenza,
sarebbe diventato sacerdote e confessore del monastero di S. Caterina, e gli
mostrò di essere a conoscenza dei suoi più intimi pensieri. La sua predizione
si compì in quell’epoca sia per Egidio che, identica, per Pietro Leonini.
A Fulgenzio Carleni, nobile d’Ameria, quando si recò da Margherita per
ringraziarla delle preghiere a suo favore, che le erano state richieste dal
Confessore senza rivelargliene il motivo, Margherita disse per tutto il
colloquio: Vai contento, perché a Roma otterrai Vittoria. Egli, che era in
procinto di andare a Roma, vi sposò infatti una donna di nome Vittoria.
Invitò, inoltre, a stare tranquilla la moglie del governatore d’Ameria, della
famiglia Boccaleone, promettendole che i gioielli che le erano stati da poco
sottratti, le sarebbero stati restituiti. Non molti giorni dopo, furono
consegnati tutti ad un frate dell’Ordine dei Minori Riformati del convento di
S. Giovanni d’Ameria, affinché lui li restituisse segretamente alla
summenzionata nobildonna; fatto sorprendente, perché quei ladri in precedenza
non avevano mai restituito nulla, ma ancor di più perché quella signora, che
in precedenza era stata sterile, da quel momento della profezia di Margherita,
cominciò ad ottenere da Dio una prole copiosa e di felice avvenire.
Risiedeva in quello stesso convento una nobile fanciulla di cui abbiamo
parlato più volte, di nome Maria Francesca, figlia di sua sorella, della
famiglia Racani, che era entrata nel monastero all’età di otto anni come
educanda. Adolescente e non e ancora monaca, come tutti quelli della sua età,
era solita talvolta dire qualche piccola bugia a Margherita. Quella, che ben
conosceva l’intimo dei cuori e le vere intenzioni dell’animo, la colpì due
volte dicendo, Non è vero, hai detto una bugia. Un altro giorno, quando
Francesca aveva insultato un’altra fanciulla, Margherita comparve e le diede
uno schiaffo, ordinandole di chiedere perdono all’altra e di baciarle i piedi.
Riusciva a vedere, infatti, tutte le sue azioni, di giorno e di notte e la
rimproverava non solo delle mancanze da lei già commesse, ma anche di quelle
avrebbe commesso di lì a poco.
Poiché suor Benedetta Morelli, conversa di Todi, le si era avvicinata molte
volte a criticare altre monache, prima che lei aprisse bocca, Margherita le
mostrava di sapere già tutto, anche tutto ciò che lei faceva, quando non c’era
nessuno, riferendone con tutti i particolari, come se potesse sempre conoscere
i suoi intimi segreti allo stesso modo delle azioni esteriori.
Una mattina, a una fanciulla di Terni, educanda nello stesso convento, che
aveva fatto la Comunione insieme alle altre, Margherita disse: Figlia, se non
temessi di dare scandalo alle altre, non ti darei assolutamente il permesso di
accedere alla divina Comunione per il motivo che tu stessa conosci. Allora
quella, esaminatasi con più scrupolo, riconobbe onestamente il suo occulto
peccato che solo Dio conosceva, dato che lo aveva taciuto nella confessione
sacramentale, e non poco ne arrossì.
Allo stesso modo si comportò con un’altra ragazza, questa volta una monaca
ancora novizia; spesso, infatti, la esortava a rendere una generale e completa
confessione, affermando chiaramente di conoscere bene tutti gli occulti
segreti della sua coscienza. Questa fanciulla, che nelle precedenti
confessioni aveva nascosto qualcosa al sacerdote, rendendo così nulle le
stesse confessioni, aveva sì deciso molte volte di aprirsi completamente al
confessore, ma ogni volta, vinta dalla vergogna e dall’istigazione del
diavolo, si era trattenuta e non aveva fatto quest’ammissione salvifica.
Margherita perciò, avendo pietà di lei su ispirazione divina, un giorno la
prese e la trascinò con le sue mani dal confessore, affinché abbandonate tutte
le esitazioni e deposta ogni vergogna irragionevole ed inopportuna, rendesse
finalmente una generale e completa confessione dei peccati, con lei che stava
poco distante. Che c’è di sorprendente nel fatto che Margherita a tal punto
penetrasse perfettamente i segreti occulti dei cuori umani, dal momento che il
suo spirito, per opera del divino Amore, era ormai una sola cosa con Dio? Chi
infatti aderisce a Dio, forma con Lui un solo spirito; e perciò, sebbene fosse
lontana col corpo, con lo spirito invece era presente in luoghi e tempi
diversi e, quel che più conta, penetrava nelle menti e nei cuori. Tre giorni
prima di morire, coricatasi, alzò le braccia ripetutamente, toccandosi la
testa con le mani, dicendo: Quale danno subirà il mio capo! Le monache che le
stavano attorno non capirono assolutamente la frase di Margherita, ma in
seguito compresero che aveva previsto che la sua testa sarebbe stata sezionata
per estrarne il cervello, come avvenne realmente. Ebbe, dunque, sicuramente il
dono della virtù profetica che rende gli uomini simili a Dio: annunciate le
cose future e diremo che voi siete Dei.
Miracoli da lei procurati
Dio, ai suoi servi grandi, oltre al dono della profezia suole elargire anche
la grazia dei miracoli, specialmente delle guarigioni, che Margherita operò
moltissime sia durante la sua vita che dopo la morte. Ora parleremo delle
prime.
Nel 1666 un falegname di A(vi)gliano che soffriva da tempo per degli acutissimi dolori interni, a tal punto che si buttava a terra come morto a causa della loro intensità, nel momento in cui ricevette da Filippo Placidi un frammento della cintura che Margherita era solita indossare e la pose su di sé, recuperò completamente la salute e si poté da allora dedicare al suo lavoro di falegname libero da ogni dolore.
Una neonata ormai quasi senza vita, che non poteva neppure succhiare il latte, fu portata a Margherita, la quale, toccandola e facendo su di lei il segno della santissima Croce, la guarì immediatamente. Da allora la piccola prese ad alimentarsi spesso del latte e visse poi a lungo, godendo di ottima salute.
Un’altra bambina di circa quattro anni, Massimilla, figlia di Imperia Loaldi di Ameria, sofferente per una piaga nella coscia, benché il padre esercitasse la professione medica a Roma e nonostante le fossero stati applicati da un valente chirurgo molti medicamenti, non solo non aveva recuperato la salute ma il male era degenerato alla fine in un tumore inguaribile. Dopo aver sofferto così pietosamente per quasi dodici anni, si avvicinava ormai alla fine; sua madre allora, che venuta a conoscenza della diffusa fama di santità che aveva Margherita, la condusse ad Ameria e gliela presentò in fin di vita. Lei, presa da compassione, unse com’era suo costume la piaga della fanciulla con l’olio che lei chiamava di S. Domenico e la fasciò col candido velo del capo e col suo fazzoletto ed in pochi giorni le restituì la salute. La fanciulla, che aveva fatto voto, in caso di guarigione, di consacrarsi, volle diventare monaca nel monastero di S. Elisabetta della stessa città d’Ameria, facendosi chiamare suor Celeste.
Lo stesso fu il caso di Ludovico Ancajani, che stava per essere condotto a
morte da un cancro che si era insediato nell’intestino e che ormai i medici
avevano dato per spacciato. Invece, raccomandato alle preghiere di Margherita,
fu liberato da quell’orribile malattia e visse da allora in perfetta salute.
Una contadina della diocesi d’Ameria, invalida ad un braccio, portò da Margherita suo figlio di quasi nove anni, muto dalla nascita, e chiese il soccorso delle sue preghiere per sé e per lui. Margherita allora, dopo aver recitato una breve preghiera e aver segnato con una croce il bambino sulla fronte, sulla bocca e sul petto, unse sia lui che la madre con l’olio di S. Domenico. Insegnò poi al muto a recitare il Padre nostro e l’Angelus, e quello immediatamente fu in grado di farlo, libero completamente dalla paralisi della lingua, da cui in seguito non ebbe più a soffrire. La madre, stupefatta per il grande ed eccezionale miracolo, mentre tentava istintivamente di levare le mani al cielo per rendere grazie di un beneficio così grande, in quel medesimo istante si accorse che il suo braccio era libero da ogni invalidità e debolezza e volle allora ringraziare in ginocchio Margherita; ma la serva di Dio, che fuggiva con la più gran cura le lodi degli uomini, la ammonì di dare gloria solo a Dio e le comandò di non raccontare il fatto a nessuno. Subito dopo Margherita chiuse la porta del parlatorio e fuggì, imitando perfettamente l’umiltà del Maestro, il quale imponeva un rigido silenzio a chi aveva restituita la salute.
Un’altra donna, dalla vita non casta, si recò al monastero di S. Caterina
affetta da una malattia incurabile, supplicando con insistenza che Margherita,
con la sua solita carità verso tutti, si degnasse di vederla e di segnarla.
Margherita, invero, si rifiutò di scendere da lei e mandò al suo posto la
suora conversa Lucia Pierantoni a portarle un poco d’olio, col quale si unse e
recuperò la salute. Ritornata a Terni, tramite un uomo che si recava ad
Ameria, espresse tutta la sua riconoscenza a Margherita per aver recuperato la
salute grazie ai suoi meriti.
La figlia dodicenne del nobile tudertino Gerolamo Chiaravalle era quasi del
tutto sfigurata per effetto d’intossicazioni e di malefici, debilitata a tal
punto in tutti gli organi che le sue gambe erano gracili e sottili come
cordicelle e in nessun modo idonee a camminare, neppure per fare un solo
passo. Condotta da Margherita, fu da lei toccata ed unta con l’olio in tutte
quelle membra senza forze; poi Margherita chiese alla ragazza se volesse
diventare monaca ed ella rispose che quello era il suo grande desiderio. Fu
dunque restituita al padre ed invitata a sperare fondatamente che di lì a poco
avrebbe camminato e goduto di un’ottima salute; lo stesso giorno all’ora dei
vespri, al ritorno a Todi, cominciò a camminare di sua spontanea volontà,
senza aiuto, ed in seguito visse in completa salute, nel pieno delle forze.
Gli fu anche presentata una fanciulla malata in viso, che era tutto ricoperto
di lebbra e di scabbia. Margherita con semplicità si mise a camminare insieme
a lei, tenendola soltanto per mano, per consolarla. Quella se ne andò via con
i suoi accompagnatori, ma poco dopo ritornarono tutti a ringraziarla perché la
fanciulla aveva recuperato la salute lungo la strada per casa. A Margherita
rincrebbe non la guarigione della fanciulla ma, come lei diceva, la sua stessa
audacia, per la quale sosteneva che la sua mano avrebbe dovuto essere amputata
per aver così sconsideratamente praticato l’imposizione sul volto della
fanciulla. Infatti, affinché non fosse attribuito a lei il potere di guarire
tutti quei malati, li ungeva con l’olio di S. Domenico. Noi in questo
miracolo, attraverso l’esaltazione della modestia di Margherita, possiamo
riconoscere quella rara facoltà concessa da Dio a lei e ad altri suoi grandi
servi, che venne individuata da S. Gregorio Magno nei Dialoghi, lib. II, cap.
30 e 31: quella di operare miracoli non solo per mezzo della preghiera, ma
talvolta direttamente con un potere a loro concesso da Dio, come avvenne, dice
il santo Dottore, quando il principe degli apostoli fece morire Anania e
Saffira non con la preghiera ma con la sua maledizione, e quando il nostro
santissimo Patriarca Benedetto liberò istantaneamente un contadino che era
stato legato in maniera strettissima con delle corde da un Goto, non
ricorrendo a nessuna invocazione, ma semplicemente con il suo sguardo.
Nel 1646 ridiede la salute alla fanciulla Bernardina
Loaldi che dimorava nel monastero di S. Caterina, la quale aveva perso l’udito
da entrambe gli orecchi a causa di una tremenda caduta, ungendola con l’olio
di S. Domenico. Ugualmente, la monaca Orsola Loaldi, di cui abbiamo fatto
spesso menzione, che i medici avevano dichiarato moribonda per essersi
spezzata due costole e la vena del petto per una grave disgrazia, fu riportata
in vita da un segno della Croce di Margherita. Non si porrebbe mai fine a
questo resoconto, se si volessero riferire singolarmente tutti i miracoli
compiuti da Margherita quand’era in vita. Innumerevoli sono, infatti, i malati
d’ogni condizione, affetti da diverse malattie ed invalidità che recuperarono
in modo straordinario il loro antecedente stato di salute per opera di
Margherita.
La sua morte
Ormai si era avvicinato il tempo in cui questa Perla preziosa sarebbe stata
riposta dal divino Pescatore nei tesori celesti. Margherita aveva vissuto 95
anni (o, come affermano altri, 105), di cui novanta trascorsi in monastero,
nella santità più eccelsa e in penitenza. E così, minata dalla vecchiaia e
dalla volontaria macerazione del corpo, o piuttosto, consumata dolcemente dal
fuoco di un amore trascendente, si avvicinava al termine della vita mortale.
Infatti, qualche mese prima di essere liberata dal carcere corporeo,
sentendosi bruciare ancora più intensamente dalle fiamme dell’eterno Sposo, e
desiderando ormai in maniera ardentissima di dissolversi e di essere con
Cristo e di contemplarlo nella gloria faccia a faccia, esclamava
ripetutamente: Signore mio e Dio mio; fuoco eterno, fuoco eterno; e senza
sosta ripeteva i sacri inni e i versetti dei salmi di Davide. Otto giorni
prima della morte una monaca le chiese cosa dell’aldilà presagisse il suo
cuore; lei allora rispose: Cosa potrebbe predire il mio cuore, dal momento non
ce l’ho? Frase che ci fa capire come Dio più di una volta le avesse asportato
il cuore, per conservarlo nelle Sue mani e restituirlo a lei purificato al
massimo, infiammato di amore serafico e adorno delle più eccelse virtù. Ormai
prossima alla morte, la si sentiva ripetere sempre più spesso queste parole:
Andiamo, andiamo, e poiché le altre monache le dicevano: Vogliamo venire anche
noi con te, lei rispondeva: Assolutamente no, non voglio nessuno con me,
nessuno, e di nuovo: Andiamo, andiamo a letto; e poiché quelle le facevano
presente: Sei già coricata, Margherita sorridendo taceva, simile in tutto alla
donna forte, che riderà nell’ultimo giorno.
Poco prima di spirare, previde e predisse il letto grande, come lei lo
chiamava, cioè il catafalco provvisorio che si sarebbe innalzato per il suo
cadavere: Che letto alto! farete delle belle cose a gloria di Dio! Le monache
non capivano proprio niente di quelle cose; infatti, tutto questo le accadde
dopo la morte per ordine e volontà del vescovo d’Ameria, Gaudenzo Poli. Ormai
agonizzante, aprendo gli occhi, li fissò al Cielo, ed erano talmente luminosi
da sembrare piuttosto delle stelle del firmamento, procurando a chi li
guardava gioia e letizia; anche la sua faccia divenne allora talmente bella da
acquistare lineamenti angelici piuttosto che umani. Abbassò infine gli occhi a
terra e sorrise pianamente: in quel momento rese l’anima a Dio, il 30 aprile
1666, alle 19, la stessa ora in cui Cristo, crocifisso per la salvezza del
mondo, aveva esalato lo spirito nelle mani del Padre. Margherita legò così la
sua morte alla Passione del Signore di cui fu sempre devotissima, come abbiamo
sopra riportato, allo stesso modo di S. Caterina da Siena, la cui festa si
celebra anch’essa il 30 aprile.
Il corpo della defunta, mentre era lavato secondo l’usanza, rivelò oltre alla piaga del costato che le era stata impressa da Dio, anche quattro altre piaghe che si era inflitta in varie parti del corpo per rendere ancora più dure le penitenze; e così con queste cinque piaghe esprimeva più da vicino l’immagine del Crocifisso. Dopo di ciò, rivestirono in maniera decorosa il corpo, come suole farsi, ed alla fine di quest’accurata preparazione, le posero una piccola immagine del Crocifisso sul cuore, secondo la consuetudine di quel monastero. Quand’ecco (cosa veramente prodigiosa!) il suo stesso cuore, benché fosse già morto, riprese a muoversi ed i battiti per ben tre ore fecero sussultare alla maniera dei mantici, su e giù con grande impeto, le vesti e la stessa immagine del Crocifisso. E così quel cuore, ancora riscaldato dall’amore di Dio, sentendosi vicino al suo amato Dio Crocifisso, ancora impazziva per la gioia, dando ragione al regale autore dei salmi: Il mio cuore e la mia carne esultarono nel Dio vivente; infatti, l’adorabile segno della croce era l’immagine del Dio vivente. Portatesi poi nell’abside della Chiesa, tutte le monache le baciarono le mani: tra di loro Maria Scolastica, nobile d’Ameria, mentre la stava toccando per poterla baciare, sentì e vide che la sua stessa mano era stata presa e stretta con forza da quella di Margherita che sembrava quella di una persona ancora viva, a tal punto era tenera e sciolta. Questo prodigio causò nell’animo di Maria Scolastica una tale sorpresa ed una tale gioia che non poté fare a meno di piangere per molti giorni.
Mentre giaceva sopra il feretro esposta allo sguardo di tutti all’interno
della chiesa, fra Angelo Blasi, teologo degli Eremitani di Sant’Agostino (di
cui abbiamo già detto che ebbe in seguito l’incarico di interrogare, nel
rispetto dei canoni, tutte le monache sulla vita e le virtù di Margherita per
ordine del sullodato vescovo d’Ameria, Gaudenzo Poli), costui dico, vide il
volto di Margherita distesa sul catafalco risplendere come il sole ed una
radiosa aureola d’oro luccicante circondare il suo capo, mentre avvertiva un
profumo celestiale che continuò a sentire anche in seguito, ogni giorno che si
recò in quella stessa chiesa a raccogliere le testimonianze delle monache
sulla santità di Margherita.
Un certo giorno, mentre stava celebrando proprio in quella chiesa una messa
per l’anima di lei, citò il suo nome senza assolutamente accorgersene sia nel
memento dei vivi che in quello dei morti, ed entrambe le volte sia lui che
l’inserviente, che era Olimpiade Artemisi, udirono come un dolcissimo suono
d’organo dal lato del sepolcro di Margherita. Inoltre, il giorno 2 maggio,
cioè due giorni dopo la sua morte, per ordine dello stesso vescovo d’Ameria,
il cancelliere episcopale e il vicario generale Francesco M. De Rossi di
Senigallia eseguirono la ricognizione della cicatrice della ferita sopra
menzionata che stava sotto la mammella sinistra, lunga circa quattro dita;
firmarono come testimoni i presenti Orsino Archileggi e Corrado Orsini, nobili
d’Ameria, che individuarono molto distintamente quella piaga alla luce del
sole di mezzogiorno.
Proprio nell’istante in cui moriva, Margherita apparve a suor Margherita
Coccola, monaca del monastero di S. Monica della medesima città (ricordata al
cap. 8, n. 2), anch’essa una grande serva di Dio, e dopo averla salutata le
disse di aver già lasciato questo mondo e di essere in procinto di salire al
Cielo per grazia di Dio, per stabilirvisi e goderne per sempre, e la esortò
con calore a compiere penitenze per ottenere la conversione e la salvezza dei
peccatori, compito che affidava a lei rimasta sulla terra. Subito dopo, la
stessa monaca vide Margherita levarsi come in volo e svanire verso il cielo.
In seguito, quest’altra Margherita godette per non pochi giorni,
ininterrottamente e in maniera inspiegabile, di un’intima unione con Dio, di
grande gioia e pace del cuore.
Più di una volta dopo la morte fu vista nel coro al posto consueto con addosso
l’abito monastico, come se fosse ancora tra i vivi e fu udita cantare con le
altre; e come dal suo scranno si udiva la sua voce, così dalla sua cella
proveniva un soavissimo profumo. Talvolta fu udita anche flagellarsi mentre le
altre monache insieme praticavano quella penitenza, ed intonare il miserere
insieme alle altre; a tal punto era stata amante della penitenza, che in un
certo senso sembrava che neppure dopo la morte e già beata potesse
staccarsene.
Alcuni miracoli verificatisi dopo la sua morte
Nel 1667, mentre una suora, Benedetta Roccamaggiore, stava dipingendo di verde
delle finte foglie di rosa, come sono solite con arte fare le monache, accadde
che una goccia di un liquido fortemente corrosivo che loro stesse producono a
quello scopo con il verderame, la ruta, l’aceto, le cadesse in un occhio,
procurandole un dolore ed una palpitazione talmente intollerabili da far
credere che l’occhio in breve sarebbe scoppiato. Invece, accostati all’occhio
leso alcuni capelli della defunta Margherita, lì per lì il dolore cessò e in
un batter d’occhio il suo occhio guarì.
Nel 1703, si recò da Orvieto al monastero di S. Magno di Ameria, dove io
stesso, l’estensore di questa Vita, ero allora il confessore ordinario delle
monache del nostro Ordine e della Congregazione, Maddalena Danielli orvietana,
quarantott’anni, moglie di Filippo Petrucci della stessa città, insieme a suo
figlio Francesco di vent’anni, e chiese di me. La signora mi disse di essere
venuta ad Ameria, per pagare il debito di gratitudine verso Dio e la sua serva
Margherita Corradi per la grande grazia ottenuta presso Dio dall’intercessione
e dai meriti della stessa Margherita; infatti, suo figlio era stato affetto da
una gravissima malattia ad una gamba che serpeggiava come un cancro da una
parte all’altra, procurandogli acerbe sofferenze e spasimi insopportabili,
impedendogli di mangiare e di dormire. Ma nell’agosto dello stesso anno 1703,
alcune sue sorelle monache del monastero orvietano chiamato del Gesù,
dell’Ordine di S. Francesco, si erano ricordate che presso di loro si trovava
il fazzoletto di Margherita, che una volta era stato donato alla loro nonna
paterna, una Brunelli, anche lei Maddalena di nome. E così inviarono subito
quel fazzoletto alla loro sorella Maddalena, persuadendola a raccomandarsi
alle intercessioni di questa grande serva di Dio ed a prometterle qualcosa in
caso di guarigione ottenuta; lei allora promise che si sarebbe recata ad
Ameria a renderle grazie e che le avrebbe dedicato una tavoletta votiva. Senza
indugio applicò il fazzoletto alla gamba piagata, ed ecco, subito la
tumefazione cominciò a sgonfiarsi, il dolore svanì, il bruciore e
l’infiammazione cessarono, la ferita e la pelle entro pochi giorni si
rimarginarono e rimase solo una cicatrice.
Attribuendo perciò ai meriti di Margherita la salute ritrovata e intenzionata
a mantenere le promesse, com’è giusto, si recò ad Ameria presso il convento di
S. Caterina a parlare con la madre badessa, alla quale raccontò l’intera
storia. Quella la rinviò a me, sapendo che mi ero accinto a comporre per sommi
capi la Vita della stessa Margherita, a gloria di Dio e della sua serva,
affinché anche questo miracolo venisse unito agli altri già documenti
prodotti. Acconsentii molto volentieri ed ho raccolto con scrupolo questa
straordinaria testimonianza da Maddalena Danielli, alla presenza del figlio,
Francesco Petrucci, di Madre Virginia Perini, badessa del convento di S.
Magno, di Madre Flavia Zuccante, priora dello stesso cenobio, nobile amerina,
di Angela Virginia Giannoni e di Vincenza Ottavia Giannoni, monache; presenti
anche come testimoni Giovan Battista Leonardi e Settimio Galarsi, residenti ad
Ameria.
La stessa signora Maddalena testimoniò di un altro miracolo che qualche anno
prima era avvenuto a sua madre Gerolama: prossima alla morte e sofferente per
un vomito continuo che le aveva impedito di ricevere il santo viatico, chiese
che le fosse dato da bere nel calice che Margherita Corradi una volta era
solita usare; e nel momento che bevve, subito lo stimolo a vomitare fu inibito
e riuscì a ricevere e a deglutire senza alcuna difficoltà il sacrosanto Corpo
di Cristo.
Abbiamo dunque in questa serva di Dio degli esempi veramente eccezionali di
tutte le virtù, che ci sono presentati per essere imitati e, se essi non ci
gioveranno a nulla, non troveremo alcuna scusa al rimprovero per la nostra
ignavia. Attribuiremo scioccamente, infatti, la nostra debolezza alla
fragilità della natura o all’iniquità di questi tempi, dal momento che una
fragile donna di un’epoca recentissima ha eguagliato i più austeri anacoreti e
i più celebri monaci nella santità e nella penitenza. Dio, infatti, non ci
rifiuta la sua grazia, siamo invece noi a rifiutarla, vanificandola,
trascurandola e, ciò che è peggio, disprezzandola. Finiamola, dunque, con la
vigliaccheria, rompiamo gli indugi, rispondiamo a Dio che ci chiama con la sua
grazia. Siamo i figli dei santi di cui indossiamo lo stesso l’abito,
conformiamo anche i nostri comportamenti alle loro virtù! Siamo circondati da
modelli, perché non ne siamo all’altezza? Tutto ciò che è accaduto in passato
può essere anche adesso con la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo, al quale
va ogni potere, onore e gloria, insieme al Padre e allo Spirito santo in tutti
i secoli dei secoli. Amen.
Il 15 aprile 1729, giorno che per straordinaria coincidenza era venerdì santo,
finii di scrivere la narrazione e la descrizione della vita di Margherita, che
era trascorsa nella contemplazione e nell’imitazione della Passione del
Signore, specialmente nei venerdì, e che era morta felicemente nel venerdì
dopo Pasqua.
Questa biografia latina di Margherita è stata da me tradotta in italiano nel
1733 e ne ho mandato in dono una copia alle monache di S. Caterina d’Ameria,
tardo nel rispettare l’impegno, fedele alla fine nel mantenerlo.
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